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PASSEGGIATA IRRESPONSABILE

Il ritorno di Netanyahu al potere e la passeggiata del neo-ministro Itamar Ben-Gvir (in occasione del giorno di digiuno ebraico per il lutto degli eventi che hanno portato alla distruzione del Tempio) hanno riacceso i timori del regno hashemita sul futuro della custodia della Spianata delle Moschee (o Monte del Tempio nella toponomastica ebraica) a Gerusalemme. Sito gestito da una fondazione (Waqf) facente capo proprio alla famiglia reale giordana. I giordani, come del resto i palestinesi, sono convinti che l’attuale esecutivo israeliano abbia l’intenzione di cambiare lo status quo del terzo luogo sacro per l’islam, dopo la Mecca e Medina. In quel rettangolo all’estremità nord della Città Vecchia, dove in passato si ergeva il luogo di culto più importante per l’ebraismo, la tradizione musulmana narra sia avvenuto il viaggio notturno del profeta Maometto in cielo: «Gloria a Colui Che di notte trasportò il Suo servo dalla Santa Moschea alla Moschea remota, di cui benediciamo i dintorni, per mostrargli qualcuno dei Nostri segni. Egli è Colui Che tutto ascolta e tutto osserva» (Corano, Sura Al-Isrâ’). Da anni quel lembo di terra è oggetto di contesa, tensioni e violenze.

Le aspre condanne che in queste ore sono state espresse a Ramallah, Gaza, Amman e Beirut in risposta alla visita di Ben-Gvir sono un chiaro avvertimento a non sovvertire i delicati equilibri che regolano la Città Santa (al-Quds in arabo). La sottile linea rossa che porterebbe ad una inevitabile “guerra santa” è il caso in cui Israele travalicasse, facendo crollare la moschea di al-Aqsà per ricostruire il terzo Tempio. Di questo si parla e straparla da tempo, la nostra convinzione è che ci siano delle evidenti strumentalizzazioni propagandistiche (strettamente politiche e poi religiose), che continuano ad autoalimentare falsità e fomentano l’odio. La verità storica che risale al conflitto dei Sei Giorni, come scriveva Benny Morris, è che «I Luoghi Santi di Gerusalemme sarebbero stati governati in base agli accordi pre 1967, ma con libertà di accesso per tutti. Appena, raggiunto, il 7 giugno, il Sacro recinto (il Haram al-Sharif), Dayan ordinò ai paracadutisti di togliere una bandiera frettolosamente issata sulla Cupola della Roccia. L’amministrazione e la sicurezza del sito fu lasciata in sostanza al Wafk, il fondo religioso musulmano, anche se l’IDF ebbe il controllo di una Porta per vegliare sul viavai civile e turistico nell’Haram». Di pari passo con l’approccio del generale Moshe Dayan è andata tuttavia prendendo forma la strategia di Yigal Allon, che architettava la trasformazione di Gerusalemme quale capitale inalienabile dello stato ebraico. Ripopolando il quartiere ebraico tra le mura e circondando la parte “araba” con un anello di nuovi sobborghi israeliani: «Se non cominciamo entro un giorno o due, non cominceremo mai». Nel corso degli anni le “passeggiate” dei politici (ed estremisti nazionalisti) israeliani nel complesso della Spianata sono state simboliche e provocatorie. Come avvenne con Sharon nel 2002 trasformandosi in accesa conflagrazione, esplosa in Intifada.

Il gesto della camminata del capo del partito razzista Oztma non è una novità del personaggio. Nel 2006, Ben Gvir venne fermato dalla polizia mentre organizzava il sacrificio di Pesach. Nel 2017, l’allora avvocato sostenne legalmente il movimento di destra radicale denominato Chozrim Lehar (Ritorno al Monte): «È inimmaginabile che le persone vengano arrestate nel cuore della notte perché vogliono eseguire un comandamento religioso ebraico», la difesa di Ben Gvir. Diventato assiduo scorrazzatore tra le pietre del “sagrato” prima della sua ultima “bravata”, circa tre mesi fa, si era recato nella Spianata per celebrare il capodanno ebraico di Rosh Hashanah. Nonostante la retorica Ben Gvir ha formalmente siglato accordi di governo che negano alterazioni dello status quo di Gerusalemme. I fatti indicherebbero il contrario di quanto stipulato con Netanyahu. Il quale il giorno precedente ha avuto un inatteso colloquio proprio con Ben-Gvir riguardo alla sua intenzione di recarsi all’Haram. Poco si è saputo di quanto discusso tra i due alleati. Ancora meno del tono del confronto e della reazione di Bibi alle pretese del suo ministro della Sicurezza nazionale. Comunque, se re Netanyahu avesse effettivamente messo un veto è palese che il suo ordine sia stato sbeffeggiato. Così, non pare. Bibi non ha perso la faccia e tantomeno le briglie. Ma la sua abilità di alchimista, con questo esperimento politico, genera profonde preoccupazioni alla Casa Bianca.

GERUSALEMME, SANTA E VIOLENTA

Il miraggio di re Salomone, figlio di David, era che edificando il Tempio avrebbe portato pace e prosperità a Gerusalemme, e al suo popolo. Conferendo eterna santità alla città, dove sia gli “israeliti che gli stranieri provenienti da paesi lontani” avrebbero condiviso quella casa da lui voluta, dedicata alle offerte e al nome di Dio (Primo libro dei Re capitolo 8). L’imponente tempio che accoglieva la sacra arca dell’alleanza secondo l’esegesi biblica venne distrutto nel 576 a.C, per poi essere ricostruito e quindi nuovamente raso al suolo. Al suo posto la storia ha collocato il terzo sito per importanza dell’islam. Tuttavia, una componente del profetismo ebraico alimenta il sogno che un giorno in quel luogo tornerà a sorgere l’antico santuario. Quella piccola rettangolare porzione della città Vecchia è stata spesso epicentro delle tensioni del conflitto israelopalestinese. Dalla fine della guerra dei Sei Giorni nel 1967 è consentito ad ebrei e cristiani di visitare la Spianata, ma gli è vietato pregare. L’attuale status prevede che Israele gestisca il controllo della sicurezza, e la fondazione islamica Waqf amministri le attività religiose al suo interno. Chi non riconosce l’accordo (oltre ovviamente alle sigle del fondamentalismo islamico da Hamas a Hezbollah) sono in particolare alcune organizzazioni dell’estrema destra israeliana, che in questi anni hanno portato a segno più di una provocazione sul posto. L’ultima, che non hanno potuto attuare perchè fermati ed arrestati in tempo dalla polizia, prevedeva di svolgervi il sacrificio dell’agnello pasquale. L’iniziativa era stata lanciata alla vigilia di Pesach sui social dal gruppo Chozrim LaHar (Ritorno al Tempio del Monte), che nel promuovere l’evento si era fatto carico di eventuali spese giudiziarie per i partecipanti, un risarcimento aggiuntivo in caso di arresto nel tentativo di introdurre l’animale sacrificale e un bonus di tremila dollari se si fosse riusciti a completare il rito. Il rabbino Shmuel Rabinovitch ha ammonito contro un tale gesto, ribadendo il divieto di compiere sacrifici sul Monte del Tempio, in quanto contrario ai dettami del Gran Rabbinato di Israele ed irrispettoso della giurisdizione della Waqf. Appello che altre volte è andato inascoltato. Soprattutto da parte degli aderenti al Chozrim LaHar, che regolarmente organizza incursioni nella Spianata. Dove per non sollevare sospetti entrano travestiti da musulmani osservanti e sfidano le regole recitando i salmi. Bravate molto pericolose, con un alto grado di infiammabilità. Come lo dimostrano gli scontri divampati tra polizia israeliana e giovani palestinesi nella mattina di Venerdì. La notizia della possibile presenza di “indesiderati” nella Spianata aveva portato migliaia di ragazzi palestinesi a trascorrervi la notte, per “proteggerne l’inviolabilità”. Con il sorgere del sole alla stanchezza ha prevalso la brutalità. E il cielo si è riempito di sassi, petardi e lacrimogeni. Battaglia andata avanti per 6 lunghissime ore, lasciando evidenti segni di devastazione. Immagini già viste. Una storia che si ripete ciclicamente. Al costo di centinaia di feriti ed arresti. Dopo che da giorni il clima in Israele è nuovamente piombato nella spirale del terrore. Paura e sangue nel tormentato Medioriente, durante quelli che teoricamente dovrebbero essere giorni di festa per le tre religioni monoteistiche, dovute alla coincidenza “astrale” di Ramadan-Pesach-Pasqua.

L’episodio, come era da aspettarsi, ha innescato il valzer della politica. Sul fronte palestinese Hamas e Jihad gettano benzina sul fuoco, incitando alla rivolta. Condanna per l’ingresso dei militari nel sito è stata espressa anche dal presidente Abu Mazen. A cui si sono aggiunte quelle dei partiti arabi israeliani. Il leader Mansour Abbas, che appoggia esternamente il primo esecutivo della storia recente senza Netanyahu, ha avvisato di possibili ripercussioni sugli assetti della coalizione, minaccia non velata ad una imminente crisi. Mentre, il governo Bennett perde pezzi e naviga instabile.

FUOCO ALLE POLVERI IN MEDIORIENTE

A nulla è servito l’accorato appello di papa Francesco “alla moderazione e al dialogo” per il Medioriente. Gli echi del conflitto israelopalestinese tornano prepotentemente alla cronaca in un susseguirsi di violenza senza confini. È caos dalla Palestina alla Giordania, dove nella zona residenziale di Amman è stato compiuto un attacco terroristico all’ambasciata israeliana. A Gerusalemme, il venerdì della “rabbia” palestinese era arrivato, prevedibile e inesorabile. Dopo giorni di proteste e scontri la città eterna è stata attraversata da tensioni culminate con morti e feriti. Due popoli condannati dall’abisso eterno dell’incomprensione, in una terra contesa pietra per pietra. Il sangue palestinese scorre nelle strade di Abu Dis, El-Azarya, Ras Al-Amud e At-Tur, quartieri periferici di Gerusalemme est. La scia di dolore si sparge nella colonia illegale di Halamish, tra Ramallah e Nablus. In passato i teatri della violenza sono stati i vicoli arabi di Shuafat, Silwan, Jabel Mukaber o gli insediamenti israeliani di Efrat, Ariel e Maccabim. Cambiano i nomi dei luoghi e si aggiornano le statistiche di morti, feriti e arresti.

C’è chi oggi parla di una nuova Intifada alle porte ma, forse, è sempre la stessa che non è mai finita. Dal ’67 l’espansione israeliana ai danni dei palestinesi è proseguita inesorabile, erodendo terra e libertà. Radicando in entrambi una cultura impregnata di richiami alla resistenza o alla difesa. Tra quelle rocce tutto si carica di un significato simbolico che assume un valore trascendentale e, allo stesso tempo, politico. Simboli che non possono essere condivisi, una linea rossa invalicabile che per essere preservata risponde alla “legge” dello status quo: la legittimazione a fermare le lancette dell’orologio. Allora, una vecchia scala in legno viene lasciata per secoli sulla facciata del Santo Sepolcro, irremovibile per non alterare diritti e pratiche nel sancta sanctorum della cristianità. Tradizioni gelosamente custodite che esprimono potere e anche arroganza, come quella di continuare a vietare alle donne ebree di partecipare liberamente alle liturgie nel Kotel, il Muro del Pianto. Persino un metal detector, se si decide di istallarlo all’ingresso di un luogo di culto, in questo caso la Spianata delle Moschee, è considerato una provocazione e innesca un turbine di violenza inaudita.

Quando venerdì mattina, in una Gerusalemme blindata dalle forze dell’ordine, solo la voce del muezzin di al-Haram riecheggiava dal minareto, nel silenzio delle altre moschee, il finale era già scritto: cortine di fumo, sassi, manganellate e pallottole. Israele nel giorno della preghiera santa per i musulmani aveva chiuso agli uomini con meno di 50 anni l’accesso alla Spianata delle due Moschee sacre, una violazione criticabile certo, ma nulla che non fosse accaduto in precedenza tra quelle mura occupate. Invece, questa volta, la risposta di protesta palestinese ha avuto un’intensità e una partecipazione altissima. Mentre, gli organi di sicurezza israeliani giustificavano la presenza di maggiori controlli con il recente attentato terroristico del 14 luglio: due poliziotti drusi uccisi da tre assalitori arabi israeliani, che poi hanno cercato, e trovato, la morte sul selciato della Spianata. Israeliani che uccidono altri israeliani è un elemento di novità nel conflitto, non di poco conto. L’obiettivo degli attentatori era, probabilmente, innescare una deflagrazione che partisse da un luogo di risonanza per l’islam, il loro “martirio” è perfidamente riuscito. Scatenando l’emotività del mondo arabo e la reazione impulsiva del governo israeliano.

Come sempre dobbiamo chiederci qual’è il senso della scelta del muro contro muro portata avanti da Netanyahu in queste ore. E quanto i leaders palestinesi hanno strumentalizzato questo episodio. Le colpe, in una regione che è una polveriera, meritano di essere ripartite attentamente. Partendo dalla considerazione che terrorismo e occupazione sono gli anelli di una catena moralmente ingiustificabile.

IL LUOGO SACRO PIU’ CONTESO

Gerusalemme. Ancora una volta gli occhi del mondo guardano inermi la scena della recita della Gerusalemme contesa. Il teatro è il Monte del Tempio o Spianata delle Moschee due nomi per il luogo da settimane al centro delle cronache e degli equilibri diplomatici internazionali. La protesta in Terra Santa si muove di qua e di là dal muro di separazione. Scontri in Palestina, nei campi profughi di Ramallah e Betlemme, negli insediamenti e poi sino ai confini della Striscia di Gaza. In Israele la violenza corre dalla Galilea sino al deserto del Neghev. Anche a Jaffa e Tel Aviv le due città israeliane contigue e laboratorio storico di coesistenza interreligiosa sono contagiate dall’ondata di protesta. A Gerusalemme le sirene delle camionette e delle ambulanze non smettono di suonare nemmeno al calar del sole. Il conto dei feriti e dei morti cambia di ora in ora. La causa scatenante di questa nuova Intifada, quella dei giovani con i coltelli che si parlano attraverso i social, l’Intifada 2.0, è il presunto tentativo da parte del governo Netanyahu di cambiare lo status quo della Spianata. Andando al centro del problema emerge che questa è una “rivolta” fomentata dalla frustrazione di una generazione di nati disperati. Uomini e donne, dai 16 ai 30 anni. Impugnano coltelli e si scagliano sui passanti per poi essere, nella maggior parte dei casi, crivellati di colpi. Sono pronti a morire non tanto e solo per una causa ma quanto per una religione, per il suo simbolo: la moschea di Al Aqsa e la Spianata. Su quelle rocce la tradizione biblica vuole che si svolse il sacrificio di Isacco e che per l’Islam fosse il punto dell’ascesa del profeta Maometto ai 7 cieli. Nell’antichità il re Salomone vi eresse un tempio per ospitare l’arca dell’alleanza. Distrutto dai babilonesi e ricostruito ancora più grande da Erode. I romani sulle macerie del tempio israelita edificarono un luogo di culto a Giove. Nel Medioevo ospitò i cavalieri templari dopo che la città venne conquistata dai crociati espugnando le mura proprio in quel preciso lato della città. Quasi un secolo dopo nel settembre del 1187, entrava vittorioso tra le sue mura il Saladino che fece purificare i luoghi sacri dell’Islam con acqua di petali di rose. Con l’arrivo degli Ottomani il Kotel – Muro del Pianto – divenne venerato dagli ebrei. Ma per quel luogo conteso la pace è una sottile linea rossa, tenue e labile. Al centro di violenti durante il mandato britannico della Palestina tra ebrei e arabi. Re Abd Allah I di Giordania nel luglio del 1951 giaceva a terra colpito a morte da un palestinese. Il 7 giugno del 1967 mentre imperversava la guerra dei Sei giorni i paracadutisti della 55° brigata israeliana prendevano la città vecchia e issavano nella Spianata la bandiera con la stella di Davide. Poi rimossa per volontà dello stesso generale Dayan, conoscitore e attento alle sensibilità arabe. Con gli accordi di pace all’area della Spianata venne garantita piena indipendenza da Israele, che mantiene il diritto di controllo, dalla porta di Mughrabi, dell’accesso al luogo santo per motivi di sicurezza. Il sito, aperto al pubblico, è gestito de jure da una fondazione islamica, la Waqf che fa capo alla famiglia reale giordana e che mantiene l’ordine, regola le visite e proibisce la preghiera ai fedeli di altre religioni, tuttavia, numerosi sono gli ortodossi ebrei che vi si recano a pregare. Nel 1990 la Spianata fu teatro di una rivolta palestinese causata dalla posa di una pietra angolare da parte di un gruppo ebraico di ultra ortodossi che proprio lì vorrebbe la ricostruzione del Tempio di Gerusalemme per la venuta del Messia. Le violente proteste da parte palestinese e la reazione israeliana provocarono la morte di una ventina di persone e centinaia di feriti. L’episodio passò alla storia come il lunedì nero. Il 28 settembre del 2000, l’allora leader dell’opposizione in parlamento, nella Knesset, Ariel Sharon, accompagnato da una scorta armata, passeggiò nella Spianata, fu l’inizio della seconda Intifada. La realtà del contesto complica e amplifica. Basta camminare per il quartiere ebraico della città vecchia, dove la vetrina di un negozio espone un modellino della città: nuove architetture compongono il plastico ed è ben visibile la costruzione del nuovo tempio ebraico, che colpisce perché è collocato proprio sull’attuale spianata delle moschee. A qualche metro di distanza nella zona araba e musulmana in un bar del suk campeggia un poster: è una recente mappa della Palestina, ma senza lo stato di Israele. Tre mila anni di discordia e molti altri giorni di violenza a venire nel nome di un piccolo lembo di roccia.