IL PONTE DEGLI ENTI LOCALI PER LA PALESTINA

È iniziato con un convegno all’Università di Tel Aviv il viaggio di Matteo Renzi in Terra Santa, due giorni di Medioriente per il presidente del consiglio. Doppia visita, Israele e Palestina. Sul fronte israeliano per confermare e garantire la profonda amicizia, a partire dalle idee, le start-up che vedono i nostri paesi impegnati in progetti commerciali ed economici innovativi. Al presidente palestinese invece il premier italiano recapita i risultati della solidarietà italiana, la serietà di anni di cooperazione, l’impegno profuso dalle istituzioni e dalla nostra società in favore del popolo palestinese. Uno di questi legami concreti, forse il meno noto ma tra i più rilevanti, è un programma di cooperazione decentrata degli enti locali italiani promosso dalla Direzione Generale Mediterraneo e Medio Oriente del Ministero degli Esteri. Un grande esempio di cooperazione dal basso alla soglia dei dieci anni di attività. Un fondo di 25 milioni di € messo a disposizione del governo di Ramallah nel dicembre 2005. Mentre Hamas vinceva le elezioni politiche in tutta la Palestina l’Italia “congelava” temporaneamente gli aiuti. La formazione di vari esecutivi di coalizione nazionale, tra le principali forze di Hamas e Fatah, ma soprattutto le garanzie del presidente palestinese Abu Mazen hanno ben presto permesso al programma rinominato PMSP (Programma di Supporto alle Municipalità Palestinesi) di entrare in operatività. Nel periodo 2006-2015 sono stati formalizzati partenariati fra 59 Enti locali Italiani (Regioni, Provincie e Comuni) e 28 Enti locali palestinesi; approvati e finanziati 76 progetti per un importo complessivo di 30.946.093 euro, di cui 22.056.332 euro (71%) quale cofinanziamento del PMSP e 8.889.761 euro (29%) a carico degli Enti locali italiani e palestinesi. Il programma è implementato da una task unit che opera in loco con l’ausilio di personale italiano e palestinese, in stretta collaborazione con il portavoce degli enti locali, Paolo Ricci. I settori prioritari d’intervento di sostegno agli Enti locali palestinesi sono i seguenti: promozione di attività di Capacity Building; gestione delle risorse idriche e smaltimento delle acque reflue; gestione della raccolta e smaltimento dei rifiuti urbani e speciali; tutela e valorizzazione dei Beni culturali, con particolare attenzione al sostegno del turismo sostenibile; promozione di attività sociali; sviluppo economico locale; sostegno alla produzione d’energia da fonti rinnovabili. Elemento centrale e innovativo, valore aggiunto, di questo programma è la sinergia tra enti locali, nell’ottica di una cooperazione decentrata che produca ampie ricadute per i beneficiari, per i servizi al cittadino e nelle relazioni people to people tra la sponda Nord e quella Sud del Mediterraneo. L’obiettivo è andare oltre il semplice rapporto di protocollo dei molti gemellaggi tra gli enti locali italiani e quelli palestinesi. Una strategia d’intervento condivisa dal Governo italiano per mano del Consolato Generale d’Italia a Gerusalemme, che di fatto è stato il vero promotore di questa iniziativa. La lista degli enti locali che hanno aderito al programma è lunga, tra loro la Regione Lombardia, l’Umbria, l’Emilia e Romagna, la Puglia e la Toscana. I comuni di Milano, Firenze, Genova, Reggio Emilia, Vicenza, Arezzo e Torino. Le province di Cagliari, Napoli e Pisa. Mentre le realtà palestinesi coinvolte sono: Betlemme, Gerico, Tulkarem, Sebastya, Battir, Beit Sahour, Hebron e ovviamente Gerusalemme Est. Tra i vari progetti già realizzati o attualmente in corso d’opera: il restauro della Chiesa di tutte le Nazioni al Getsemani; un impianto di pannelli fotovoltaici che fornirà energia elettrica al complesso scolastico di El Zaitoun di Gaza; l’apertura di strutture ricettive di base (Guest House) nei principali centri storici palestinesi; servizi di riabilitazione per persone con disabilità, una scuola di lingua italiana, un progetto pilota per la raccolta, il trattamento e lo smaltimento dei rifiuti speciali di origine ospedaliera; le attività culturali del Museo di Arti e Tradizioni palestinesi Dar Al-Tifl e l’elaborazione dello Studio di fattibilità per la realizzazione di un Parco Scientifico e Tecnologico a Hebron. Molti migranti che tentano di arrivare in Europa sono di origine palestinese, l’incremento negli ultimi anni è stato esponenziale. Anche per loro la fuga da un dramma quotidiano di guerra, violenza e povertà. La coscienza invita ad un maggiore impegno di tutti per la salvaguardia della vita umana. Le necessità sono interventi per la creazione di posti di lavoro e una maggiore sicurezza sociale nelle zone da cui provengono i migranti. “Per ottenere un tale risultato è necessario investire nella cooperazione, e nei prossimi tre anni assisteremo a grandi cambiamenti in questo senso.” La promessa del Governo italiano.

Nucleare iraniano, diplomazia di vasta proporzione

L’accordo sul nucleare iraniano è arrivato alla sua conclusione o maturazione. Un risultato diplomatico di vaste proporzioni, raggiunto dopo un’estenuante tavolo delle trattative: una patata bollente dagli esiti incerti per oltre 60 mesi. La quadratura diplomatica grazie alla mediazione del Commissario europeo Federica Mogherini, in splendida luce. Nella tarda mattina viennese di una calda estate si accende il semaforo verde alla fine delle sanzioni nei confronti di Teheran. Nemmeno il tempo per le delegazioni ufficiali di stringersi la mano per la foto di rito che da Gerusalemme si alzano le voci di protesta. E Washington risponde. Mentre Teheran canta vittoria con la folla in piazza. È il classico teatrino della politica internazionale, in scena tanti attori ma tre veri protagonisti: il presidente iraniano, Netanyahu neo confermato capo di governo israeliano ed infine Obama il presidente in scadenza degli USA. L’ultimo ha fortemente spinto per una soluzione positiva alla trattativa iraniana, che riaprisse il dialogo interrotto nel ’79 con il paese degli Ayatollah, nella speranza, nemmeno troppo segreta, di poter un giorno definire un nuovo Medioriente senza Califfi: “E’ un accordo che non si basa sulla fiducia ma sulla verifica. Se l’Iran violerà l’accordo tutte le sanzioni saranno ripristinate e ci saranno serie conseguenze. Nessun accordo avrebbe significato nessun limite al programma nucleare iraniano. Gli Stati Uniti manterranno le sanzioni contro l’Iran collegate alla violazione dei diritti umani”.

Occhi puntati. Scadenze da rispettare per l’Iran e per il presidente Hassan Rouhani che nella dichiarazione alla stampa non ha tralasciato di uscire dal seminato, cadendo nel grottesco: “Non abbiamo chiesto la carità. Abbiamo chiesto negoziati equi, giusti e senza sconfitti. Oggi la gente di Gaza, del Libano, di Gerusalemme e della West Bank sono felici perché gli sforzi del regime sionista sono stati sconfitti. Paesi vicini! Non lasciatevi ingannare dal regime sionista”. In Medioriente, almeno la parte ostile alle politiche di Teheran quella che teme il potere sciita e le milizie dei pasdaran, non accetta di buon grado il risultato di compromesso siglato in Austria. Arabia Saudita e Israele, nemici giurati dell’Iran, sono rigidamente contrari. Temono per propri i confini, per la sicurezza di una regione votata all’instabilità e alla violenza.

Il primo ministro israeliano, dal canto suo, esprime condanna accesa, con toni funesti: “Adesso l’Iran avrà un patto sicuro per sviluppare le armi atomiche. Molte delle restrizioni che avrebbero fatto in modo di prevenire ciò sono state revocate. L’Iran avrà in mano un jackpot, una miniera d’oro in contanti centinaia di miliardi di dollari, che le consentirà di continuare a perseguire le aggressioni e il terrore nella regione e nel mondo. Si tratta di un grave errore di proporzioni storiche.”

Netanyahu parla, allo stomaco e alla testa, della comunità internazionale ma soprattutto ai repubblicani americani, al Congresso dove sono in maggioranza e lui, il falco, potrebbe trovare fedeli alleati in una nuova battaglia politica al democratico afroamericano presidente della Casa Bianca. Un match rischioso per la tenuta delle relazioni sodali tra i due stati. Obama appare rilassato, al fianco il suo vice, insieme per il monito al Congresso e per delimitare il campo di gioco: “Sarebbe irresponsabile allontanarsi da questo accordo. Porrò il veto a qualsiasi legge che si opporrà alla sua attuazione”. Netanyahu è fuori dalla porta …. con la palla in mano.

Giusto tra le Nazioni, Che Guevara della Chiesa: addio a don Paoli

“Vi chiedo di non cedere ad un modello economico idolatrico che abbia bisogno di sacrificare vite umane sull’altare del denaro e del profitto.” Sono le parole pronunciate da Papa Francesco ad Asuncion in Paraguay pochi giorni fa. In un viaggio in cui il Pontefice ha rimarcato l’importanza di: “Rispettare il povero. Non usarlo come oggetto per lavare le nostre colpe.” È la conferma che il mandato di Francesco guarda apertamente all’esperienza dei movimenti teologi della liberazione, apre alle loro teorie nel nome della “lotta” alla diseguaglianza globale. Un indirizzo che trovava in padre Arturo Paoli e nella sua storia uno dei principali esponenti. Fratel Arturo e’ morto lunedì scorso all’età di 102 anni nella canonica che l’ospitava ormai da qualche anno, a San Martino in Vignale, nella sua Lucca. Dire oggi quanto di Fratel Arturo Paoli e delle sue tesi ci sia nel messaggio apostolico di Papa Francesco è materia per i vaticanisti ma soprattutto rientra nella sfera di un legame sincero, un’amicizia profonda. Paoli e Bergoglio si conoscevano bene da lungo tempo. Il primo ha rappresentato per i popoli latinoamericani un profeta, predicando dal Cile alle favelas del Brasile in favore delle popolazioni più diseredate e delle loro lotte, pronunciandosi per una chiesa popolare e socialmente attiva. Ricercato e condannato a morte nell’Argentina della dittatura, in fuga tra i poveri, ha messo più volte a repentaglio la propria vita. Personaggio scomodo, che non accettava bavagli: “Finché non capiremo che la solidarietà con i poveri non è buon cuore, ma un modo di uscire dalla colpa, di rendere giustizia, tutti i nostri discorsi politici non serviranno a niente.” L’esempio di don Paoli è nei gesti di un’icona della resistenza all’ingiustizia, dell’antifascismo, contro le dittature militari e i regimi repressivi. Il Che Guevara della Chiesa. Lui che ha scolpito il suo nome tra i “Giusti delle Nazioni” nel memoriale dello Yad Vashem a Gerusalemme. Nel luogo simbolo della tragedia della Shoah, dove oltre alle sei milioni di vittime sono ricordati anche coloro, non ebrei, che rischiarono le loro vite per aiutare gli ebrei dall’Olocausto. “Ricordo la giovane coppia venuta dal nord d’Europa portando il ricordo della famiglia distrutta nei forni crematori, dopo un lungo viaggio in vagoni piombati, ammassati come oggetti senza valore. La donna portava nel suo ventre la vittoria sulla furia devastatrice e cercammo di mettere al sicuro questo piccolo seme che conteneva la forza della vita, la speranza sicura della sua vittoria sulla morte.” Fratel Arturo Paoli ha contribuito a salvare centinaia di ebrei dalla deportazione nei campi di concentramento nazisti. Con Giorgio Nissim, responsabile dell’organizzazione ebraica che assisteva i perseguitati, il Delasem, don Paoli e i suoi confratelli dettero rifugio a profughi e ricercati creando una capillare rete di protezione agli ebrei in Toscana. Per mantenere la segretezza Nissim inviava gli ebrei in fuga da don Paoli, le persone mostravano mezza banconota da 5 lire che combaciava con il numero seriale che Paoli possedeva. Era una catena di solidarietà, coraggio e altruismo. In uno dei momenti più bui della storia: “Quelli che avevano tentato di affascinarci nel sogno di essere portatori di civiltà nel mondo, apparvero improvvisamente invasori venuti da terre lontane, esseri che venivano da epoche a noi sconosciute, esseri predatori, distruttori assetati di sangue e di vendetta.” Nell’arco della sua centenaria vita don Arturo ha continuato a rappresentare un punto di riferimento morale, spirituale e critico. Vivendo a pieno la religione come atto di generosità assoluta, guardando sempre in basso: “Oggi noi predichiamo le stesse cose da Wall Street, dal nostro comodo benessere; predichiamo principi, idee, senza mai mettere i piedi per terra. Sono secoli che pensando di amare opprimiamo.” Questo è stato Fratel Arturo Paoli.

GAZA UN ANNO DALL’INIZIO DEL CONFLITTO E LA COOPERAZIONE ITALIANA

A Gaza è ancora emergenza, gli aiuti tardano ad arrivare e la macchina della ricostruzione internazionale è letteralmente in stallo dalla fine delle ostilità, agosto del 2014. Tempo perso e ritardi imputabili a fattori politici interni ed internazionali. Eppure la cooperazione italiana, forse uno dei pochi esempi, si è mossa con celerità e concretezza. Alla conferenza del Cairo, in ottobre, l’Italia ha stanziato 18,7 milioni. “La Cooperazione italiana opera a Gaza da lungo tempo, principalmente attraverso l’UNRWA (Agenzia delle Nazioni Unite per i rifugiati), che gestisce, come noto, alcuni servizi sociali – scuole e cliniche – essenziali per la popolazione, e varie ONG italiane, che hanno realizzato o stanno realizzando interventi di carattere sociale e di sostegno a piccole attività produttive. Nonostante le difficoltà del contesto politico e operativo, la Cooperazione italiana continua ad essere attiva e apprezzata dalla popolazione.” Tiene a sottolineare Giampaolo Cantini, Ambasciatore e Direttore Generale della Cooperazione italiana allo sviluppo, che intervistato per l’Unità aggiunge: “Nel corso del 2015, sono previsti nuovi interventi di emergenza per la Palestina per un totale di 5,78 milioni di Euro.” In totale ad oggi sono stati impegnati nei Territori Palestinesi Occupati 380 milioni di euro a partire dal 1985. Mentre, in risposta alla crisi dello scorso anno sono 3 milioni i fondi investiti sul canale dell’emergenza. Nel dettaglio ad un anno dalla guerra e dieci dal ritiro dei coloni israeliani da Gaza, voluto unilateralmente da Sharon, le principali aeree d’intervento gestite dalle nostre ONG sono: progetti per migliorare l’accesso all’acqua potabile per la popolazione di Gaza; interventi nel settore della salute e attività di resilienza ai traumi di guerra della popolazione sfollata. Mezzo milione è la cifra che la Farnesina ha gestito autonomamente acquistando medicinali e generi di prima sussistenza. Due voli umanitari hanno portato dall’Italia 500 Emergency Shelter-Boxes destinati agli sfollati: box contenenti tende, coperte, teli isolanti, fornelli da campeggio, pentole. Gli aiuti sono stati allargati al canale multilaterale diretto a favorire le agenzie internazionali: UNWRA, UNMAS, OCHA, UNDP, WHO e Croce Rossa Internazionale. Infine la somma più sostanziosa è stata investita nel credito d’aiuto, come chiarisce il Direttore Cantini: “15 milioni di € da erogare tramite un credito ad alta concessionalità, con tale importo, verrà finanziato un programma di ricostruzione di abitazioni civili a Gaza, che intende sostenere l’attuazione del National Early Recovery Reconstruction Plan palestinese.” Sul fronte politico c’è da registrare che la tregua tra Gaza e Gerusalemme regge. Nelle ultime settimane a Gaza i gruppi salafiti, affiliati all’ISIS, hanno fatto la loro macabra comparsa, tentando di destabilizzare il fragile compromesso di “quiete”. Giochi di potere in un Medioriente sempre più vicino al baratro del terrore. Il recente rapporto della commissione d’inchiesta dell’ONU parla esplicitamente di crimini di guerra compiuti da parte di Israele e di Hamas durante il conflitto e invita l’intervento della Corte Penale Internazionale. La verità è lontana, l’impunità aleggia mentre la devastazione è visibile.