FLOP ELEZIONI, BIBI EVITA IL PRIMO OSTACOLO

Israele al voto, in tempo di guerra. Le elezioni amministrative, in origine previste a fine ottobre e posticipate a causa dell’intensificato conflitto con Hamas e dell’escalation con Hezbollah, si sono svolte martedì 27 febbraio, riscontrando generalmente una bassa partecipazione. Per la terza volta nella sua storia lo stato ebraico ha dovuto rinviare le elezioni locali. In precedenza avvenne nel 1973 durante la guerra dello Yom Kippur e nel 1982 in concomitanza della prima guerra in Libano.

197 sono stati i comuni interessati da questa tornata, esclusi invece, una decina in tutto, alcuni situati lungo il confine della Striscia di Gaza ed altri al nord limitrofi al Libano. Dove i residenti sono da mesi stati evacuati per ragioni di sicurezza e distribuiti in varie parti del paese, alloggiati in hotel o temporaneamente presso amici e familiari. Rendendo complicata la logistica dell’organizzazione, per loro si svolgeranno il prossimo autunno. Dei circa sette milioni di aventi diritto solo meno della metà si è recato alle 11 mila urne distribuite urne nel paese. La settimana scorsa i primi a votare con la doppia scheda (gialla per eleggere il sindaco e bianca per la lista del consiglio comunale) sono stati militari e riservisti, nei seggi allestiti presso le basi dell’esercito.

Molto alto il livello della sicurezza, con regolari controlli ogni due ore, predisposti da polizia in coordinamento con il comando militare. Come prevede la legge se nessuno dei candidati supera la soglia del 40% è previsto il ballottaggio tra i primi due. Per conoscere il nome del sindaco di Haifa, terza città per numero di abitanti, si dovrà aspettare il 10 marzo. Intanto, nell’ombra della guerra che incombe, lo spoglio è andato a rilento. L’esito parziale tuttavia, ha confermato la vittoria degli attuali sindaci di Tel Aviv e Gerusalemme. Non cambia colore (e tendenza) la città laica, del mare e del divertimento, retta ininterrottamente dal 1998 da Ron Huldai, storica figura del partito laburista. Che si attesta sopra il 50%, staccando di una decina di punti la rivale Orna Barbivai, espressione dell’ala centrista e liberale. Non è bastato l’endorsement del leader dell’opposizione Yair Lapid all’ex generale (prima donna a raggiungere tale grado nell’IDF), e già parlamentare della Knesset, per sconfiggere l’inossidabile ed intramontabile Huldai. Poco distante, nella “Santa Gerusalemme” tutto secondo le previsioni della vigilia. Eletto Moshe Lion, secondo mandato consecutivo per il noto dirigente del Likud. Che ha letteralmente stracciato gli avversari. Compreso l’attivista per i diritti civili Yosi Havilio, sponsorizzato dal “campo largo” di centrosinistra (e dal movimento pro-democrazia). Nulla da fare per lui in una corsa persa in partenza, in una città dove il voto secolare è ormai minoritario e ininfluente difronte all’ortodossia dei religiosi. Cade anche la storica roccaforte laburista di Holon, alle porte di Tel Aviv. Sconfitto Moti Sasson che sullo scranno di sindaco sedeva da 30 anni. Costretto a farsi da parte per l’avanzata imperiosa della lista indipendente dei “volontari” guidata da Shai Kenan. Che con la sua organizzazione benefica ha scalato la fiducia tra la gente.

Problematico il voto nelle comunità arabe-israeliane investite da un’onda di criminalità senza precedenti. Oggetto di costanti pressioni e quotidiani violenti attacchi. A riguardo i ricercatori Yael Litmanovitz e Muhammed Khalaily hanno scritto: “Dobbiamo protestare contro il contesto devastante che stanno vivendo le comunità arabe negli ultimi anni, in cui i cittadini hanno paura di uscire di casa dopo il tramonto, hanno paura persino di mandare i figli a scuola o al parco, addirittura di dormire troppo vicino alle finestre per gli spari. Non dobbiamo permettere che si crei una situazione in cui gli arabi di Israele abbiano paura di andare a votare ed eleggere un sindaco o un consigliere, né una situazione in cui i candidati stessi temono che svolgere un ruolo civico possa costare loro la vita”.

In conclusione. Queste elezioni amministrative non hanno avuto un riflesso su scala nazionale. Al contrario, a trainare i pochi contendibili voti sono stati i candidati in gioco. Netanyahu si è tenuto lontano dalla campagna elettorale, per ovvi motivi politici, in un momento in cui ha ben altro a cui pensare. Lasciando che l’elezione facesse il suo corso naturale. E così Bibi non è stato investito da un referendum sulla sua persona, che avrebbe potuto provocare un terremoto politico. Cresce comunque il peso nella società tanto dei movimenti dal basso quanto degli ortodossi. Il vero dato negativo è la bassa, bassissima affluenza (a Gerusalemme si sono recati alle urne il 25% degli aventi diritto). Il fattore guerra ha sicuramente influito sul diffuso pessimismo verso la politica. Il nodo della tutela della democrazia è alla radice.

LE AQUILE

Oggi ho visto per la prima volta un aquila combattere con un corvo. Il bianco uccello alato contro quello nero e gracchiante. Alcune rapide strambate al vento, discese in picchiata libera e poi la mossa che non avrei mai immaginato in quel duello aereo da prima guerra mondiale, avvenuto sopra il verde mare delle Andamane: il corvo in posizione migliore per sferrare l’attacco dall’alto sembrava aver sopraffatto l’aquila, che improvvisamente ha girato su se stessa ritrovandosi becco a becco con il nemico, continuando a volare all’incontrario e colpendo l’avversario colto di sorpresa. Pochi attimi di acrobazie. Fine della guerra.
In questi giorni, di non proprio buon umore, due libri mi sono stati di conforto. E sono “Quando le montagne cantano” scritto da Nguyen Phan Que Mai (perdonate gli “accenti” mancanti sulle e) e “Diario di una splendida avventura” di Tonino Aloi. Il primo è finzione, narra la saga di una famiglia vietnamita che scorre dagli anni ‘30 dello scorso secolo fino ai giorni nostri. Il secondo invece è il racconto dell’esperienza di vita dell’autore, medico e cooperante, e della moglie Raffaella in Africa. Si snoda così il diario di un “viaggio” che nel 1971 li ha portati in Uganda, ad aiutare il prossimo. Per fede e altruismo. Innovando la cooperazione allo sviluppo.
I due libri lasciano e tracciano una lunga scia, trasportandoti in mezzo a violenza, facendoti toccare con mano fame, povertà e malattia (e nel caso di Tonino anche di applicazione pratica della medicina tropicale). Due testi pervasi di forza d’animo nel far fronte alle difficoltà da superare. Volontà di dimostrare e dare coraggio al prossimo. In un mondo dove tutto ruota intorno alla speranza, a cui si affidano tanto i personaggi di Nguyen quanto Tonino. Accompagnati nella loro peregrinazione, reale e non, da amici, nemici, crescita spirituale, buddismo o cattolicesimo. Immergendosi, nel loro caso, completamente nel contesto e nel paesaggio.
“Ogni giorno, prego perché il fuoco della guerra si estingua. Allora tuo zio potrà camminare sulle ceneri di tutto ciò che abbiamo perduto e tornare a casa. Sono sicura che questo momento arriverà”, ripete la nonna alla nipote in un Vietnam rovesciato dal conflitto.
Riflette il dottor Aloi guardando indietro: “Ognuno vive la propria vita e la propria esperienza, l’importante è viverla con lealtà e passione nei propri confronti e nei confronti degli altri, seguendo, più o meno coscientemente, la vocazione che il Signore ti manda”.
Ho raccontato ad un vecchio gipsy del mare di aver visto la “battaglia” delle Andamane tra il corvo e l’aquila. Lui mi ha guardato con gli occhi scavati e scuri. Poi in inglese (senza le r) e la movenza delle mani ha descritto la bellezza dello spettacolo della “danza” delle aquile, per accoppiarsi. Dicendomi che da quel momento il legame è eterno. Ecco, Tonino e Raffaella sono due aquile che volteggiano magistralmente sopra la nostra storia.

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IL PALESTINESE CHE RESTAURAVA LA STORIA

Osama Hamdan, non il noto terrorista ma il bravissimo architetto palestinese, era mio amico. Portare lo stesso nome e cognome, di uno dei leader storici di Hamas, comportava talvolta esilaranti equivoci. Ricordo benissimo la faccia dell’addetto alla sicurezza dell’aeroporto Ben Gurion di Tel Aviv, mentre sfogliava le pagine del suo passaporto. Panico imbarazzante. In effetti se pensi di avere davanti a te uno dei primi della lista dei ricercati dai servizi segreti israeliani qualche effetto istintivo naturale lo provoca, a chiunque. Soprattutto quando solo pochi secondi prima gentilmente gli avevi augurato buon giorno e preso in mano il suo documento d’identità, in totale leggerezza e pronto a fargli fare la trafila di rito che tocca ai palestinesi gerosolimitani. Comunque, a spiegargli che non si trattava della stessa persona ma di un semplice caso di omonimia fu lo stesso Osama, molto divertito dall’episodio. Per piccolo e ridicolo che possa sembrare tutto ciò se sei palestinese lo devi mettere in conto, purtroppo è la normalità e ti ci devi abituare.
Una estate mi capitò di farmi ospitare a casa sua. Clara (sua moglie) con Marta e Alessia (le figlie allora bambine) erano in vacanza in Piemonte, dai nonni. Il mio arrivo portò cene e aperitivi. Negli anni a seguire Osama nel giustificarsi di quella mia allegra presenza amava dire a Clara: “Enrioo invitava un sacco di gente diversa”. Clara che ovviamente ci conosceva bene non si è mai arrabbiata, ne’ con me ne’ con lui. L’abituale appuntamento mattutino che ci eravamo prefissati era la sigaretta e il caffè. Quando non era troppo tardi lo prendevamo in veranda. Ricordo con dolcezza Osama fumare e guardare con una sorta di adorazione il panorama di Gerusalemme. In tutta onestà alcune volte non capivo a cosa pensasse, altre invece discutevamo di tutto. Succedeva che lo accompagnassi da Sebastia a Gerico, da Betlemme all’Ikea di Petah Tiqwa. Oppure a comprare il pesce a Jaffa, alla vigilia del Natale. Per più di 10 anni ho passato in quella casa le feste, in famiglia. Che prendevano il via con: “Ti va un Campari per aperitivo?”. La risposta era ovviamente: “Sì!”. Osama Hamdan era una persona solare. A cui piaceva la semplicità e la giustizia. Intellettuale di una sinistra palestinese andata svanendo nel tempo, ma che resta radicata nel dna di un popolo oppresso. Fagocitata tanto dal fondamentalismo quanto dall’ immoralità manifesta della congrega di Arafat. Un giorno si parlerà delle ingiustizie perpetrate da chi governa oggi i palestinesi, come del resto delle vessazioni imposte dall’occupazione israeliana, Osama lo raccontava da oltre vent’anni. E come il saggio che ascolta il vento non vedeva nulla di buono all’orizzonte. Forse la convinzione che la bottiglia del dolore non aveva fondo ha spinto Osama Hamdan a dimostrarsi all’altezza degli eventi. Ha ricevuto onorificenze in mezzo mondo, inclusa quella di cavaliere della repubblica italiana. Ha collaborato con l’archeologo padre Michele Piccirillo, ha scritto e riformulato la storia dell’architettura e del restauro palestinese, grazie anche al vincolo di sodalizio con l’esperta Carla Benelli. Ha svolto lui teoricamente musulmano, ma totalmente agnostico, i lavori al Santo Sepolcro e alla Natività, mettendo quasi sempre tutti d’accordo, cosa non semplice nella fragile e complessa rete di rapporti per non alterare lo status quo. Vederlo passeggiare sotto le navate al seguito dei frati francescani che pendevano dalla sua infinita conoscenza è la foto che ho stampato nella memoria del nostro ultimo incontro, era una calda mattina di autunno del 2022. La sera prima avevamo cenato insieme. Appariva stanco e provato. La malattia lo stava lentamente prosciugando. Lui non si arrendeva. Terminata la cena uscimmo sul patio: “Mi offri una sigaretta? Mi va di fumare”. Sapevo che aveva smesso da tempo. La vista che avevamo difronte non era più quella del passato rivolta alle mura della città Vecchia, le cose e le case cambiano e adesso la nuova dimora degli Hamdan guarda verso il deserto. Mi raccontò delle cure in ospedale e della contentezza di essere diventato nonno. La figlia minore Alessia venne a sedersi accanto noi, con il suo narghilè alla mela. Quando l’aria incominciò ad essere pungente intervenne: “Baba ti porto una coperta?”. Osama scosse la testa: “Meglio rientrare”. Penso che avrei potuto resistere al freddo polare pur di continuare per ore quella conservazione.
Triste oggi ripensare a quel momento, a Gerusalemme senza il compagno Osama.

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