L’ESTATE DELL’ANTI-BIBI

Qualche ritardo “tecnico” nella procedura di voto e alla fine la Knesset ha approvato il suo scioglimento. Indette le prossime elezioni per il 1 novembre 2022, le quinte in meno di quattro anni. Naftali Bennett, dopo un anno vissuto intensamente da primo ministro, ha passato – in virtù dell’accordo di rotazione – il testimone al ministro degli esteri Yair Lapid. Cinquantottenne, già volto noto della televisione, sottile politico capace di realizzare e tenere in piedi per dodici mesi la maggioranza più impensabile della storia di Israele: destra nazionalista, conservatori, liberali, laburisti, sinistra sionista (ormai effimera) e islamici. In termini pratici un’alleanza che dai pro-coloni di Yamina arrivava fino all’appoggio del partito arabo filo Hamas di Ra’am. Passando tra russofoni, ex generali e associazioni Lgbt+ di casa nel Meretz.
Progetto o miracolo politico, destinato (sospettiamo che lo immaginasse anche lui) prima o poi a inevitabile implosione. Tuttavia, una realtà alternativa alla monarchia di Bibi Netanyahu. Questo, il merito riconosciuto in modo unanime a Lapid. Adesso, più che mai, scoperto anche come talento profetico del campo di centro-sinistra, mondo di per sé nostalgico di una guida carismatica in grado di traghettare il paese fuori dall’era Netanyahu. A fare breccia nei cuori degli elettori, orfani di Rabin, non è stato tanto il suo manifesto ideologico (assai vago) quanto la determinazione nel rendere possibile il sogno del cambiamento. Lapid ha dimostrato di saper rivaleggiare con l’avversario Netanyahu sul terreno a lui più consono: maneggiare, saldare e bilanciare gli assetti del panorama politico israeliano. E così il “piccolo principe” ha scalfito l’invulnerabilità del re, appropriandosi, momentaneamente, del trono di Israele.
Anni fa su Hareetz il giornalista Asher Schechter scrisse di lui: “Il suo successo dice molto su Israele, più che su Lapid stesso. Candidato con zero esperienza politica e nessun tema da approfondire, il suo unico punto di forza è la popolarità, potrebbe diventare uno dei più grandi attori politici da un giorno all’altro. Lapid è l’ultima personificazione di una sfera politica ossessionata dalla celebrità, dove i partiti cercano di reclutare giornalisti, atleti e altri personaggi pubblici con il loro seguito di riflettori”. Ancora più tagliente fu Martin Sherman in un articolo apparso nel Jerusalem Post: “Yair Lapid è l’uomo più pericoloso della politica israeliana di oggi, uno sciocco di bell’aspetto, carismatico, troppo sicuro di sé, un ignorante affabile privo di dignità intellettuale e qualsiasi principio morale, ma con il dono di una lingua d’argento e l’inconfondibile – e in gran parte non mascherata – inclinazione per la demagogia e la dittatura”. Allora, furono numerose e imbarazzanti le gaffe che lo esposero al bersaglio della critica, e della facile ironia. La sua immagine però non si indebolì anzi … fu l’inizio dell’ascesa.
Ufficialmente entra in politica nel 2012, dando vita all’esperienza del movimento Yesh Atid (C’è Futuro). Nel debutto alle elezioni legislative del 2013 ottiene 19 seggi. Diventando il secondo partito della Knesset. Una breve esperienza nel governo Netanyahu e tanta opposizione. Di cui diventa capo di fatto nel 2020. Nell’ultima tornata elettorale, a marzo del 2021, si attesta al 13,9% dei voti, che gli garantiscono 17 parlamentari. Il resto è storia dei giorni nostri.
Per un decennio Lapid ha, tranne la parentesi di coabitazione nella lista elettorale Blu e Bianco con Gantz, gestito in modo personalistico Yesh Atid. L’unica volta che si è palesata la prospettiva di primarie interne nessuno ha osato sfidarlo apertamente. Ideologicamente si definisce di centro, equamente distante sia dalla sinistra che dalla destra. A meno che per destra non si intenda Netanyahu, nel qual caso incarna perfettamente il ruolo di eroe del centro-sinistra.
Lui, figlio dell’élite liberal-sionista di Tel Aviv, affermatosi nel solco delle orme lasciate dal padre “Tommy”, autorevole giornalista ed esponente di spicco del partito Shinui. Rigoroso intellettuale del pensiero laico, dal quale il figlio si è discostato per approdare ad una linea più morbida, che “integra valori dell’ebraismo e della democrazia”.
Come capo della diplomazia israeliana ha ospitato lo storico vertice con Marocco, Emirati Arabi Uniti, Bahrain ed Egitto. Stretta la collaborazione, e l’amicizia, con il segretario di Stato americano Antony Blinken. Nel conflitto ucraino è schierato al fianco di Kiev, con meno moderazione e tatto rispetto a Bennett. Ora non resta che capire se impronterà la prossima campagna elettorale andando a spolpare la sinistra, rinforzandosi a destra o cercherà di erodere gli opposti rimanendo fermo al centro, sapendo di essere l’unico collante che può tenere insieme tutti, contro l’eterno Bibi Netanyahu.

STRAGE CLANDESTINA

I corpi senza vita di 46 persone sono stati scoperti ammassati all’interno del rimorchio di un camion. Il luogo dell’orribile massacro è una strada remota e secondaria non lontano dalla città di San Antonio, in Texas. Le vittime erano tutti migranti latino americani entrati illegalmente in territorio statunitense. Le cause della morte, è stata aperta un’indagine federale e il Messico ha offerto piena collaborazione, sarebbero state le condizioni inumane a cui erano sottoposti: caldo infernale e disidratazione.
Per chiarire le dinamiche del tragico evento, comunque, risulterà determinante la testimonianza dei sopravvissuti, al momento ricoverati in varie strutture sanitarie del posto. Le vittime totali saliranno a 53. Non è la prima volta che incidenti del genere accadono lungo il confine con il Messico. Nel 2017, nelle stesse condizioni morirono 10 persone e decine rimasero ferite. Nel 2003 le vittime furono invece 18. L’amministrazione Biden ha recentemente annunciato guerra alle organizzazioni criminali che contrabbandano esseri umani. Smantellare un sistema con strette connessioni politiche e legate, ovviamente, ai cartelli della droga non sarà un’impresa semplice, e tantomeno rapida.
Solo pochi giorni fa, a migliaia di chilometri di distanza dal Texas, a Melilla lungo le coste del Sahel, nella porta d’ingresso all’Europa, giacevano a terra inermi decine di migranti. Rimasti uccisi in quello che pare un caotico tentativo di sfondare le recinzioni dell’enclave spagnola. Per il premier iberico Sánchez alla base della strage ci sarebbero le “mafie” locali, che avrebbero organizzato e pianificato l’assalto, violando “l’integrità territoriale” della Spagna. Sulla dinamica concordano anche le autorità marocchine. Ma non le organizzazioni umanitari presenti, che denunciano l’uso sistematico della forza della polizia di frontiera e il grado di “disperazione” dei migranti assiepati al confine.
Il rapporto sulla tratta delle persone dell’UNODC (Ufficio delle Nazioni Unite per il controllo della droga e prevenzione del crimine) del 2020, i cui dati si riferiscono al periodo 2016-2019, precedente quindi allo scoppio della pandemia, era alquanto istruttivo sulla situazione. A livello globale, la maggior parte delle vittime rientravano nello sfruttamento sessuale (50% nel 2018). Inoltre, si evidenziava anche la crescente percentuale di casi legati alla manodopera forzata (38%).
Trend che in regioni come l’Africa e l’Asia ha avuto un costante aumento nell’arco dell’ultimo decennio, superando abbondantemente il 50%. Mentre, circa il 6% del totale dei “clandestini” veniva sfruttato per scopi criminali: furti, coltivazione e spaccio di droga. Una forma meno comune di traffico era quella dello sfruttamento per accattonaggio. Tuttavia, 19 stati al mondo hanno segnalato questa modalità di tratta. Sempre maggiore risultava l’uso dei social media come mezzo dei “mercanti” per adescare le potenziali vittime, scelte ovviamente tra i più vulnerabili della società. La pandemia ci ha “distratto” da un problema serissimo, che in questa estate 2022 è di nuovo, purtroppo, cronaca.