Il viaggio in Africa di Papa Francesco

Francesco è in Africa. Ad accoglierlo a Nairobi il presidente Uhuru Kenyatta, il primo leader africano a stringere la mano del Papa in questo viaggio apostolico che parte dal Kenya per poi proseguire alla volta dell’Uganda e terminare nel paese della Repubblica Centroaficana. Tre stati africani a maggioranza cristiana, attraversati da conflitti interni, dittature, guerre civili interminabili e oggi nella morsa del terrorismo islamico. È il cuore della culla dell’umanità, dove povertà ed emergenza sanitaria hanno un radicamento endemico e mietono vittime ogni giorno. È l’Africa della miseria, dei soldati bambini, degli stupri etnici, della tragedia dell’HIV, della tubercolosi e di Ebola. I temi al centro del viaggio sono molti e delicati, per la prima volta Jorge Mario Bergoglio visita l’Africa nell’undicesimo viaggio apostolico del suo pontificato. Il Vescovo di Roma giunge in Africa in un momento di crescente instabilità politica internazionale: “Il terrorismo si alimenta con la povertà” ha commentato. Francesco porta un messaggio di tolleranza religiosa, nella ricerca dell’unità tra i cristiani, per la convivenza pacifica, in particolare tra musulmani e cristiani. Lui, che più volte ha guardato al mondo in via di sviluppo, scegliendo di mostrarsi come esempio di semplicità francescana, contro la corruzione e i signori della guerra, non mancherà di esprimere la sua visione dello stretto rapporto tra povertà e ambiente, tema a cui ha dedicato la sua ultima enciclica “Laudato si”. La seconda tappa del viaggio è l’Uganda, la perla d’Africa. Nella tormentata storia di questo paese è scolpito uno degli episodi di maggiore valore per le comunità cristiane in Africa: il martirio di Namugongo, dove furono torturati ed uccisi cattolici e anglicani che respinsero le “turpi richieste” del re animista del Buganda. Nella località del feroce massacro oggi sorge un grande santuario, inaugurato da Paolo VI, meta ogni anno di pellegrinaggi. La comunità internazionale del movimento LGBT vorrebbe che il Papa durante la sua permanenza africana fosse promotore di una maggiore tolleranza e parlasse contro la criminalizzazione dell’omosessualità in atto in molti paesi, tra cui l’Uganda. Altro tema sensibile alla chiesa, in paesi dall’alto tasso di natività come quelli africani, è la contraccezione. Molte agenzie internazionali e alcuni governi occidentali vorrebbero che la chiesa cattolica rinunciasse alla sua opposizione, soprattutto al divieto dell’uso del preservativo. Infine, al centro del viaggio apostolico anche l’apertura in anteprima della Porta Santa della Cattedrale di Bangui nella capitale Repubblica Centroafricana, che segna l’avvio dell’Anno Santo della Misericordia, questo evento costituisce più che una novità un unicum nella storia del cattolicesimo. Comunque, ci apprestiamo all’ennesimo viaggio in modalità Bergoglio: la solita borsa nera in mano, sorridente, niente giubbotto antiproiettile e nemmeno la papamobile blindata. “Attentati? Temo di più le zanzare”, nelle parole di Francesco però non c’è incosciente snobismo, e neanche la pretesa che le schiere degli Angeli lo proteggano. L’allarme tuttavia è alto. Decine di migliaia i poliziotti coinvolti sia in Kenya che in Uganda. In Repubblica Centroafricana Francesco sarà nelle mani dei caschi blu. Secondo taluni esperti di terrorismo internazionale il Pontefice è maggiormente a rischio durante la permanenza in Kenia, per la presenza nel territorio di cellule di islamisti somali. Sebbene lontano mille miglia dai proclami di forza e reazione che proprio in questi giorni caratterizzano il mondo occidentale, lo stesso che per secoli ha sfruttato questi popoli e le loro risorse nella folle corsa al colonialismo e che con il postcolonialismo spesso contribuisce a mantenere al potere élite corrotte e oppressive, il Papa “rivoluzionario” lascerà il segno nella storia di questo continente.