SALVINI A ROMA, BIBI A GERUSALEMME

Nel dicembre 2018 l’allora ministro degli Interni Salvini si recava in visita ufficiale in Israele. Di quel viaggio poco “diplomatico” ma molto “politico” sono cronaca due episodi: il breve incontro con il primo ministro Netanyahu e il mancato ricevimento del presidente Rivlin, giustificatosi con la scusa dello stretto programma dell’agenda presidenziale. Non fece notizia la protesta inscenata da attivisti di sinistra israeliani mentre Salvini si trovava allo Yad Vashem, il memoriale della Shoah a Gerusalemme. Qualche motivo di tensione invece lo crearono le foto scattate dalle alture del Golan, illegalmente occupato per la Comunità internazionale ma riconosciuto da Trump, mentre ispezionava una postazione militare israeliana. Binocolo e selfie a poca distanza dalle vicine truppe d’interposizione della missione italiana in Libano. Ovviamente Salvini, che non era il reggente della politica estera, non si sbilanciò in dichiarazioni troppo forti. Allora evitò di entrare nella questione, complessa, di Gerusalemme e di un conflitto apparentemente irrisolvibile tra palestinesi ed israeliani. Dimostrò, tuttavia, una propensione filo-israeliana, che ha confermato in queste ore quando in un’intervista al giornale Israel Ha-Yom, ha affermato, senza più indugi, che riconoscerà Gerusalemme capitale d’Israele, appena diventerà premier. Un’atteggiamento chiaramente riconducibile all’alleanza stretta con l’inossidabile primo ministro e leader del Likud, Benjamin Netanyahu. Statista ed ormai punto di riferimento del sovranismo. Un falco della politica ed un abile populista. Ma sopratutto un fine diplomatico capace di ottenere dall’amico Trump l’impossibile, due riconoscimenti di sovranità su territori contesi da anni, appunto il Golan e Gerusalemme, quale capitale dello stato. Scatenando la reazione internazionale, ma scardinando di fatto le fondamenta dello status della città e disegnando una nuova mappa geografica della regione.
“Quando gli accordi sono difficili, prevale sempre la pratica delle scelte non negoziate: la quale peraltro si basa purtroppo sulla forza e sull’unilateralismo del più forte”. Scrive il professor Cardini in un bellissimo saggio dedicato alla “Santa”. Una città che racchiude unicità e criticità, e il cui futuro, come il suo passato, dipendono dalle profonde dinamiche che ruotano intorno a ideologie e religioni. Che come ci ricordò in un colloquio il Patriarca latino Pizzaballa “in Terra Santa politica e religione sono come benzina e fuoco”. Un luogo dove errori si sommano ad errori. Dove lo spirito di pace è sopraffatto dalla doppiezza degli estremismi e del fanatismo; dall’ambiguità dei palestinesi sul riconoscimento di Israele. E quella del mancato rispetto delle, tante, risoluzioni dell’ONU. Gerusalemme è una città che tende a deformare tanto la realtà quanto l’immagine che riflette, difficile da conoscere, da interpretare. Un libro aperto da cui superficialmente si tende a prendere, non a caso, solo le pagine che fanno più comodo al proprio tornaconto. Abraham Yehoshua in un lunga intervista rilasciata a Wlodek Goldkorn disse che con la fine della prima guerra arabo-israeliana: “la Gerusalemme araba era diventata per gli israeliani la faccia nascosta della Luna, e così la parte ebraica per gli arabi”. Quella frattura oggi non si è ancora ricomposta.