BIBI E LO STRESS

In Israele da un po’ di tempo circolano voci riguardanti la salute di Netanyahu. Ci fosse una campagna elettorale alle porte avrebbero il tempo che trovano, e nessuno probabilmente ci farebbe caso. Nel mezzo di una guerra tutto prende un significato diverso. Il longevo re Bibi è sicuramente in grado di intendere, volere e imporre la sua leadership, senza curarsi dei danni causati, sia lui che i suoi fedeli alleati, una pletora di estremisti elevati al rango di ministri. Invocare la camicia di forza non è tuttavia la risposta alla deriva in atto, e sicuramente non è la strada democratica per liberarsi definitivamente di una personalità ormai dannosa al suo paese. La questione è squisitamente politica.
Comunque, a luglio 2023, al settantatreenne premier israeliano venne impiantato un pacemaker, con un intervento chirurgico d’urgenza. Qualche ora dopo l’operazione Netanyahu appare sorridente in video: “Come potete vedere sto benissimo”. Messaggio che non rassicura gli israeliani, rimasti scioccati nell’apprendere che da tempo il loro primo ministro aveva nascosto (mentendo) il cronico problema cardiaco di cui soffriva. Ufficialmente i medici minimizzano le preoccupazioni, adducendo la causa degli strani mancamenti alla disidratazione. Non era così. Allora, dalle pagine di Haaretz il giornalista Yossi Verter parlò di fabbrica di menzogne che circonda il ricovero: “Le condizioni di salute illustrano più di ogni altra cosa la cultura dell’inganno in cui Netanyahu, i suoi ministri e consiglieri gestiscono il Paese”. Sul web presero piede le speculazioni sulla sua reale salute. Pettegolezzi? Spesso i leader, succede in tutte le democrazie, sono coperti da un alone di silenzio, riserbo in particolare su eventuali malattie, che potrebbero offuscare l’aura di invincibilità. Verrebbe da dire che siamo tutti umani, ma qualcuno pretende di esserlo un po’ meno. E comunque, dal giorno del suo intervento, un’ambulanza è al seguito della carovana della sicurezza, che accompagna Netanyahu.
Lo scorso gennaio il bollettino medico del primo ministro israeliano riportava: “Stato di salute completamente nella norma”. Insomma, il falco della destra sta bene. Ciononostante, all’inizio di giugno è stata presentata una petizione all’Alta Corte di Giustizia per chiedere che il primo ministro condivida informazioni dettagliate sulle sue condizioni e nomini un sostituto ad interim, nel caso in cui non fosse in grado di svolgere le funzioni, come prevedono i protocolli in vigore. In conformità al rispetto della privacy però la promulgazione di notizie personali non è vincolante. Ad invocare trasparenza sono alcune famiglie delle vittime del 7 ottobre ed esponenti del partito laburista. Scrive a riguardo l’avvocato Binyamin Bertz sull’autorevole Jerusalem Post: “Rispondere a queste voci dovrebbe giovare alla fiducia del pubblico verso il governo e rafforzare la resilienza nazionale. Al contrario, nell’attuale struttura di governo e in assenza di un sostituto per il primo ministro, lasciare queste chiacchiere senza risposta minerà ulteriormente il grado di resistenza nazionale, che è già in una situazione difficile”.
Dal punto di vista giuridico l’Alta Corte ha stabilito recentemente che la valutazione dell’idoneità al comando del primo ministro non è applicabile durante il mandato in corso. Lo stress e la sua reazione, seppur comportando ricadute fisiche e mentali, non sono ragioni imputabili alla rimozione. I giudici supremi hanno sentenziato che sia invece da tenere in considerazione l’idoneità quale requisito per l’eleggibilità del candidato premier, disposizione da applicarsi ante nomina e non post. Quindi, al momento non sussistono condizioni “superiori” per la revoca dei poteri a Bibi. Se mai qualcuno ci avesse sperato.
Per sostituire il peggior premier della storia di Israele ci sono solo tre possibilità: che si dimetta di sua scelta (alquanto improbabile a meno che non decida di giocarsi tutto richiamando gli israeliani alle urne); che la maggioranza che lo sostiene imploda (rischio sempre presente visto gli alleati che si è scelto); oppure che il Likud, il partito di cui è padre padrone, si rivolti contro di lui (ma mancano aspiranti coraggiosi e volenterosi che si mettano a capo della congiura di palazzo). Il re di Israele è stanco ma si tiene stretta la corona, senza più Benny Gantz nel gabinetto di guerra che gli tiri le orecchie. L’ex ministro a forza di minacciare le dimissioni, e poi ripensarci, alla fine le ha presentate, con una tempistica non esente da critiche. Il problema è che per il suo posto apicale adesso sgomita l’ultradestra. Che vorrebbe tornare ad occupare Gaza e cacciare i palestinesi dalla loro terra. Provetti Nerone a cui è pericoloso mettere in mano i fiammiferi, figuriamoci affidar loro le chiavi dei carri armati e le sorti della battaglia.