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IL GIALLO DI PADRE DALL’OGLIO, UNA VICENDA SIRIANA

La speranza è vedere Paolo Dall’Oglio libero, il prima possibile, non dimenticandolo. Sono passati quattro lunghi anni dal rapimento del padre gesuita in Siria, sequestrato, presumibilmente, da un gruppo islamico di affiliazione qadeista. Dal triste giorno della sua sparizione a Raqqa di lui non si hanno più notizie: ucciso o detenuto in qualche prigione, venduto e passato di mano in mano tra diverse fazioni siriane? Le ultime tracce risalgono alla notte del 29 luglio mentre lavorava, con molta probabilità, alla mediazione per la liberazione di un gruppo di ostaggi. Una trattativa delicata che forse avrebbe messo il padre gesuita sulla strada della guida spirituale dell’Isis, il califfo al-Baghdadi. Questo, per quanto lacunoso, è quanto sappiamo di Dall’Oglio, poi un lungo inesorabile e pesante silenzio. Servizi segreti e pressioni vaticane, ad oggi, hanno condotte ricerche infruttuose. Senza tuttavia chiudere mai alla speranza di veder tornare tra noi un uomo che ha dedicato la propria vita all’integrazione e amava dal profondo la Siria. Con la sua missione aveva scelto di ritirarsi in un luogo della regione impervio, solitario e mistico. Dove predicava la comunione con le chiese d’oriente e l’incontro tra le fedi che si richiamano ad Abramo. Sulle colline desertiche e incastonato tra le pietre, al nord di Damasco, aveva fondato nel 1991 la comunità monastica di Deir Mar Musa. Una luce di tranquillità e accoglienza dove, nel corso degli anni, migliaia di fedeli sono transitati: “Cercavo un posto per fare 10 giorni di preghiera, di silenzio. Ero interessato al Medioriente, alla pace, al dialogo islamocristiano, e sono venuto qua. Sono arrivato la sera, non c’erano tetti, porte, niente e ogni pietra andava per conto suo. Però questo luogo mi ha stregato e parlato della tradizione cristiana, convissuta nel contesto islamocristiano per quattordici secoli, parlandomi di speranza, bellezza e incontro con dio. E di ospitalità”. Raccontava il prete romano con voce calma ma ferma, barba lunga e ben curata, una kefiah al collo, parole semplici e ispirate al dialogo in una straordinaria testimonianza di pace. In quella intervista è tracciato il percorso ecumenico di padre Dall’Oglio, per raggiungere una sintesi completa con l’islam, attraverso lo scambio interreligioso nella totale affinità delle radici. Al punto da arrivare a definirsi “simbolicamente musulmano”. Conoscitore della lingua araba e studioso del Corano. “Come esiste quella giudeo-cristiana centrata su Sara, così a partire dai simboli biblici prolungati dalla meditazione coranica musulmana, c’è la possibilità di vedere prefigurata la Chiesa nella linea di Agar e Ismaele”. La visione di padre Dall’Oglio è manifestata nella regola che la comunità di Deir Mar Musa si è imposta, l’utilizzo della lingua araba come strumento di comunicazione sociale e liturgico, affiancata nelle preghiere al greco, all’aramaico e al latino. Impegno religioso e politico scandiscono la vita di questo monaco, pronto a sfidare il regime di Assad, schierandosi apertamente al fianco della piazza durante le rivolte della Primavera Araba: democrazia e dignità. Rendendolo un personaggio scomodo, a tanti. Facendo di lui una voce indignata, che protesta per la repressione e il massacro del popolo siriano. Prima che i riflettori delle televisioni si accendessero è testimone diretto della tragedia della guerra civile. È un punto d’informazione ma anche il pulpito di un monito, profeticamente avverte il sopraggiungere del caos. Capisce in anticipo che la violenza innescherà la fuga in massa, l’insorgere del problema dei profughi è prossimo. La Siria del dialogo si eclissa, coperta dalla strumentalizzazione e dal fanatismo religioso, sotto gli occhi di un occidente cinico: “la paura legittima la repressione, che legittima l’estremismo, che legittima la paura”. È il ciclo vizioso di un Medioriente senza pace e futuro, la frontiera “estrema” del Mediterraneo dove continuare a cercare padre Paolo Dall’Oglio.