FRIENDS

Il Sultano, lo Zar e il Cavaliere. Storie di amicizia, golpe, purghe, guerre, viaggi, bandane, colbacchi, fez, che hanno cambiato lo scacchiere politico internazionale. Fine Maggio 2002, Pratica Di Mare, vertice dei leader della Nato, viene adottata formalmente la Dichiarazione di Roma che dà vita al «Consiglio a venti» comprendente la Russia. È l’apoteosi, il punto più alto della politica estera berlusconiana. Agosto 2003. Istanbul. Il Cavaliere è nel Bosforo per fare da testimone alle nozze del figlio del “sultano” Erdogan. L’informalità del premier alla festa diventa notizia per la gaffe del baciamano alla sposa, musulmana. La galanteria del Cavaliere, eccessiva per l’occasione, non turba, tuttavia, l’umore dell’amico Erdogan. Il cambio d’inquilino alla Casa Bianca, un democratico “abbronzato”, la “liaison” tra la Merkel e Sarkozi, fatta di sguardi e sorrisi, segnano il de profundis internazionale del fondatore di Forza Italia. Aprile 2009. Baden Baden. Ennesimo gesto di scortesia diplomatica. Berlusconi scende dall’auto e invece di dirigersi verso l’accorrente Angela Merkel con passo veloce svicola in disparte con il cellulare all’orecchio. Dai gesti si capisce l’importanza della telefonata: è al telefono con Erdogan. Al centro dell’intenso colloquio il nodo del successore alla carica di segretario generale della Nato. Settembre 2015 nel pieno delle sanzioni europee alla Russia mentre le truppe del Cremlino affluiscono in Siria e nel Donbass, Berlusconi, appare in Crimea al fianco di Putin. Lo schiaffo del serafico Silvio alla diplomazia di Bruxelles è eloquente. L’indirizzo “eclettico” della politica estera di Silvio Berlusconi non è stato esente da pesanti e giustificate critiche. Indispettivano i comportamenti “eccentrici” e poco istituzionali dell’uomo di Arcore. Un vanto del Cavaliere erano le relazioni personali strettissime, vedi Gheddafi e Ben Ali, con capi di stato poco democratici e personaggi dalle smisurate manie di grandezza, come Mubarak. In un suo mondo ideale il Berlusconi statista prospettava alleanze asimmetriche a cui nessuno, per ovvie ragioni storiche e culturali, aveva mai pensato: Roma, Ankara e Mosca. Un asse geopolitico ed economico che agli inizi del nuovo millennio pareva in contrapposizione, in controcorrente, all’impianto dell’Unione europea, quasi una sua antitesi. Impossibile da immaginare fino ad oggi. Dopo il tentato golpe lo schema delle amicizie del Cavaliere prende corpo, le acque della diplomazia del Bosforo e gli assetti strategici globali si invertono, mettendo fine ad odi atavici e innata diffidenza. Lo Zar Putin ed il Sultano Erdogan si avvicinano, dove c’era stato il gelo più assoluto ora sboccia l’amicizia, l’erede di Stalin e quello di Ataturk promettono d’incontrarsi a breve. La memoria corre al 24 Novembre 2015, quando l’aviazione turca abbatteva un aereo russo. Putin minacciava ritorsioni: «Non solo sanzioni, Turchia si pentirà di quello che ha fatto». Pesanti le accuse mosse ad Ankara: «Aiutano i terroristi». Erdogan rispondeva alle critiche del Cremlino con lo stesso tono: «Nessuna scusa». Meno di un anno fa, ma pare un secolo. Un colpo di stato fallito, una repressione durissima e la lettura della storia cambia verità: i piloti che avevano abbattuto il jet russo acclamati eroi nazionali sono diventati traditori, posti in arresto e sotto inchiesta anche per l’episodio menzionato. Difficile trovare un segno di maggiore distensione tra i due, che hanno in comune il disprezzo per la libertà di stampa, per l’opposizione e i diritti delle minoranze. E una certa propensione ad “eliminare” i rivali con metodi sbrigativi e poco democratici. Gli amici del Cavaliere ancora una volta preoccupano l’Europa.