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IL CALCIO MONDIALE IN SALDO, COMPRATO DALLA CINA

Il Mondiale in Russia segna un cambiamento epocale per il mondo degli sponsor e del marketing planetario, nuovi equilibri geografici e fuori due continenti: Africa e Sudamerica. Escono di scena anche marchi storici che avevano legato, in questi anni, il proprio logo al massimo evento calcistico. Decisione presa in conseguenza dello scandalo di corruzione che investì la Fifa, compromettendone l’immagine, all’epoca del timoniere Blatter. Per la Federazione calcistica presieduta da Infantino l’ingresso di nuovi partners, in gran parte gruppi cinesi, ha portato un minore incasso (-200milioni di dollari di introiti). Putin in persona si sarebbe speso per cercare sponsorizzazioni alternative a colmare il gap. Alla fine la partecipazione record è venuta dal gigante asiatico: il 39% della pubblicità del Mondiale proviene dal made in China. Anche se la nazionale, allenata da Marcello Lippi, è esclusa dai giochi, le multinazionali di Pechino hanno investito massicciamente per aggiudicarsi il connubio con lo spettacolo sportivo più atteso. In Russia campeggiano cartelloni di cellulari, televisori, frigoriferi e scooter elettrici di fabbricazione asiatica. Il generoso sponsor ufficiale, uno dei magnifici 7, è una catena globale di sale cinematografiche dell’Impero maoista. Un’altra “stranezza” è la comparsa di uno sponsor della Mongolia, un colosso del settore alimentare – latte e yogurt – che si prende ben 420 secondi di proiezione di spot prima del calcio d’inizio di ogni partita, trasmessi negli stadi e sui maxischermi nelle piazze. Indimenticabile, e attuale, la stilettata di Gianni Agnelli a Tanzi, allora patron del Parma, per il trasferimento del centrocampista Dino Baggio al Parma: “Oggi il latte tira più dell’auto”. Nel 2000 l’Avvocato ebbe un incontro a Milano con lo zar, colloquiarono di affari per circa mezz’ora nella suite dell’hotel Principe di Savoia. L’ex funzionario del Kgb era un astro nascente della politica, muoveva le sue prime mosse internazionali in un contesto di incertezza sul suo futuro e su quello del Paese. Poco meno di 20 anni dopo lo zar di San Pietroburgo è sul tetto del mondo, ha rimesso ordine nelle strutture centrali del governo, quando erano drammaticamente implose, e mantiene largo consenso con la propaganda della minaccia del ritorno al caos. Qualche difficoltà è dovuta alle sanzioni economiche, ma l’isolamento non è impeccabile, nel complesso però i titoli azionari sono stabili e l’inflazione in netta discesa. La storia insegna che la vetrina dei Mondiali talvolta si rivolge contro gli organizzatori, non solo calcisticamente. Putin è il deus machina dell’evento, lui un monolite di ghiaccio, freddo e composto persino nell’esultanza. Un professionista nell’arte del mimetizzarsi, statista camaleontico che può impersonare qualsiasi personaggio, calandosi perfettamente nella parte: sportivo, re della finanza, organizzatore di eventi, dittatore, domatore di tigri. E persino “rappresentante” di una ditta di latticini mongoli.