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IL VASSALLO DI PUTIN

L’esito del voto in Ungheria rischia di condizionare le future risposte dell’Unione alla Russia. La riconferma di Viktor Orbán, alla quarta vittoria consecutiva nelle urne, è uno schiaffo a Bruxelles, calpestata dalle politiche, e dalla propaganda, del leader magiaro. Ma è anche, purtroppo, il pericoloso segnale del successo di Putin nel fare breccia nel cuore dell’Europa, nel momento più complesso delle relazioni. Nonostante, alla vigilia i sondaggi avessero previsto una corsa serrata così non è stato, e per il partito del primo ministro Fidesz è stata invece una comoda passeggiata. Cocente l’umiliazione per lo sfidante Peter Marki-Zay, moderato, espressione della larga e variegata coalizione di opposizione, che non è riuscito nemmeno ad imporsi nel suo distretto, dove era stato sindaco. Il clima elettorale è stato dominato dagli echi della vicina guerra in Ucraina. Orbán ha promesso di rimanere fuori dal conflitto, ad ogni costo. A concesso meno del minimo sindacale in materia di sanzioni a Mosca. Non ha rinnegato i legami con il Cremlino e non ha teso la mano della solidarietà all’Ucraina, tantomeno a Zelensky. Indicativo a riguardo il commento rilasciato a caldo: “Abbiamo conquistato il potere contro tutti… perfino contro il presidente ucraino Zelensky”.

L’uomo forte di Budapest (tra le pochissime città ad avergli voltato le spalle in questa tornata), è stato chiamato a quello che tutti hanno giustamente interpretato come un referendum sulla sua persona. E lui ha dato prova di aver plasmato una nazione e di non essere pronto a lasciare il potere agli avversari. Orbán è un personaggio scomodo, non solo perché autoritario e amico personale di Putin. Con cui ha siglato nell’arco degli anni un forte sodalizio, saldato da 12 incontri durante la passata campagna elettorale, se mai ci dovesse essere stato qualche dubbio sulla sua equidistanza nel conflitto ucraino. Infatti, è principalmente sul piano internazionale che la figura di Orbán crea oramai pesante imbarazzo. L’ostentato pacifismo di maniera in realtà nasconde altri interessi. In primis la dipendenza energetica dell’Ungheria da Mosca, che fornisce circa il 90% del gas e il 65% del petrolio. Nel caso di un eventuale taglio di forniture si stimano ricadute potenzialmente devastanti per l’intera economia ungherese. La sfacciata posizione di “neutralità” ha tuttavia un costo, l’isolamento. La prima crepa della rete diplomatica di Orbán è la diffusa freddezza mostrata da storici partner. L’invasione dell’Ucraina ha fatto cambiare approccio alla Polonia e ad altri “soci” del gruppo di Visegrád, patto di cui proprio Orbán è stato architetto e promotore. E che ora rischia di implodere malamente.

In conclusione. Il risultato elettorale è stata indubbiamente una grande dimostrazione di forza interna dell’ideologo della nuova destra europea, nazional-populista e religiosa, confermata dal controllo dei 2/3 del parlamento. Mentre, esternamente ha perso importanti pezzi. Quanto le distanze tra l’Occidente e l’Ungheria siano un reale problema già lo sapevamo.