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IL COVID NEL MONDO, STORIE D’ASIA

A Wuhan, luogo di origine del Covid19, la gente è finalmente “libera” e può uscire di casa. Dopo 76 giorni di isolamento. In molti, come prima cosa, hanno fatto le valigie e lasciato la città trasferendosi in regioni vicine. Con il rischio per la Cina di una nuova diffusione del contagio, il temuto rebound: altri contagiati sono stati registrati al di fuori della provincia di Hubei. Dopo decine di nuove infezioni l’Impero del Dragone ha deciso di assegnare ingenti risorse economiche per prevenire la diffusione del virus. In una delle “tigri” asiatiche, a Singapore, il governo ha invitato, per mitigare la crisi dei generi alimentari, a coltivare il proprio orticello sui tetti, di casa o dei parcheggi. La città-stato produce circa il 10% del proprio fabbisogno, il resto è importato ma le restrizioni sui trasporti della grande distribuzione hanno innescato una situazione alquanto caotica, tra carenze e impennata dei prezzi nei negozi. Per evitare il panico le autorità hanno assicurato investimenti per 21 milioni di euro a sostegno della produzione di uova, verdure e pesce. Inoltre, è stato predisposto un programma per promuovere l’utilizzo di spazi agricoli alternativi come i siti industriali dismessi e, appunto, i tetti. A Singapore inoltre è stato sospeso l’utilizzo di una nota piattaforma social per video conferenze adoperata dagli insegnanti, dopo aver riscontrato evidenti violazioni della privacy. La Malesia sotto blocco parziale registra una decrescita di casi, tuttavia, le restrizioni al movimento sono state estese sino alla fine del mese. In Indonesia la curva del contagio è in aumento. In Corea del Sud, nella città di Daegu, con il più diffuso focolaio, i casi sono zero, per la prima volta da febbraio.
In Pakistan i contagiati sono in continuo aumento come il numero dei decessi. Le recenti proteste in piazza dei medici pakistani, che evidenziavano una situazione ingestibile e le “deplorevoli” condizioni in cui devono lavorare, sono state represse dalla polizia con l’uso della forza. A Islamabad, tuttavia, la misura che limita la presenza di un massimo di cinque persone contemporaneamente all’interno delle moschee è stato quasi completamente ignorato dai fedeli.
Nei regni della Cambogia e della Thailandia l’assenza dei rispettivi monarchi, uno a Pechino per visite mediche e l’altro in vacanza in Baviera, ha di fatto lasciato pieno potere ai militari. A Bangkok dall’emergenza nazionale (adottata anche dal Giappone) si è passati al coprifuoco notturno. Nella terra dei khmer invece da giorni si prospetta l’introduzione della legge marziale. Il Bangladesh ha optato per sigillare il quartiere di Cox Bazaar, dove sono ospitati oltre un milione di rifugiati Rohingya, provenienti dal vicino Myanmar.
Mentre l’India è sul baratro della catastrofe umanitaria. Nel nord ovest del Paese, nella regione del Punjab, un raro panorama si offre alla vista, grazie alla riduzione dell’inquinamento atmosferico: le imbiancate vette dell’Himalaya distanti centinaia di chilometri.

COVID-19 E L’AFRICA

L’Africa sta iniziando a fare i conti con Covid-19. L’Organizzazione Mondiale della Sanità esprime forte preoccupazioni per il contesto più povero al mondo, con fragili sistemi sanitari e strumenti limitati. Vari governi hanno infatti chiesto di agire contro la diffusione del coronavirus attraverso la sospensione degli interessi sul debito contratto, misura caldeggiata persino dalla Banca Mondiale. Ma con l’aumento esponenziale del numero dei contagiati, che supera i 2.500 casi in 43 paesi su 54, nei confronti degli occidentali cresce la tensione. Statunitensi ed europei sono accusati di essere gli untori. Dal Kenya all’Etiopia si segnalano violenze verbali e fisiche che coinvolgono anche molti italiani. Minacce nei confronti di nostri connazionali sono state segnalate anche in Camerun, Ghana e Tanzania. Il primo stato a dichiarare la calamità e lo shutdown, è stato il Sudafrica, afflitto da centinaia di casi. Quello stesso Sudafrica, che nella sua recente storia annovera il primo trapianto al mondo di cuore eseguito dall’equipe del dottor Barnard, sul finire degli anni ’60, e una epidemia di HIV tra le più gravi di sempre, a cavallo tra i due secoli, 300mila morti. I posti letto in terapia intensiva sono circa mille, un quinto in strutture private. Covid-19 è quindi una nuova sfida in aggiunta ad altre, endemiche, che mietono vittime sopratutto nelle sterminate baraccopoli delle periferie di Città del Capo, Johannesburg e Pretoria. Malawi e Zimbabwe invece non hanno ospedali in grado di accogliere infetti da virus. In Somalia è stata istituita un’area di quarantena nell’aeroporto di Mogadiscio, diventata un’anticamera dell’Inferno. Nel Sud Sudan, devastato dalla recente lunga guerra civile, sarebbero disponibili solo 24 letti a norma. Sia l’Uganda che la Nigeria, dopo aver affrontato “l’esperienza” Ebola, hanno attivato un piano di emergenza nazionale. In Congo chiusi i parchi nazionali per proteggere dall’estinzione gli indifesi gorilla.

L’incapacità di contenere il virus, sia in Europa che negli USA, è ovviamente un messaggio negativo per i paesi in via di sviluppo. Il timore è che il Coronavirus possa accelerare la sua diffusione, moltiplicandosi con effetti devastanti sull’umanità.