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THE DONALD MEET FRANCESCO

A Roma il chiomato presidente non trova lo sfarzo abbagliante, le tende d’orate e i fiumi di petroldollari degli sceicchi, non cammina nella storia lungo la stretta via Dolorosa, tra le colonne del Santo Sepolcro o nelle stanze buie e dolorose dello Yad Vashem, avanza nei corridoi affrescati delle stanze pontificie alla volta di un incontro pesante. Prima di entrare bussa. Attende e poi stende la mano al Santo Padre. Insieme l’archetipo politico del populismo, rozzo e impulsivo, e il Vescovo di Roma, la guida spirituale illuminata, riflessiva e inclusiva. Gli opposti, l’uomo dei muri e quello dei ponti, in un faccia a faccia apparentemente disteso, “cordiale”. Un colloquio in forma privata, a porte chiuse.

L’udienza papale è l’ultima fatica della tournée di Donald Trump nel simbolismo delle fedi monoteistiche, l’unica dove non ha ricevuto adulazione e applausi, la sola dove gli affari fanno un passo indietro e il giudizio alla politica è morale. Il profeta dei tweet è stato accolto con gli onori in mezzo Medioriente, interpretando il ruolo, per lui inusuale, dello statista politicamente corretto: parole limate e pesate, rinnegando gli slogan della campagna elettorale e presentandosi come il condottiero della pace. Nei suoi interventi ha potuto sbeffeggiare la politica obamiana e ha ripetutamente invocato la “santa” alleanza contro il diavolo iraniano. Ricordando vagamente la lezione del suo predecessore Bush junior alla vigilia della crociata contro l’Iraq di Saddam Hussein. Ha stretto la mano a sunniti ed ebrei, dittatori e aspiranti rais. La “recitazione” è tuttavia apparsa in molte sue parti ricca di retorica e poco convincente, l’uomo più potente al mondo risulta non sempre credibile.

In Terra Santa, all’ombra dei muri, vecchi e nuovi, di pietra bianca e di cemento armato, di preghiera o di separazione ha rassicurato, con incoerenza, sia il movimento dei coloni israeliani che il presidente palestinese Abu Mazen. Molte affinità con Netanyahu per cambiare, a parole, il corso della storia. Il “miracoloso” piano pacifista del presidente è una road map troppo vaga e lontana dalla realtà dello scenario, smielato lo slogan: “Occasione rara per la pace”. Le idee trumpiane, anche se addolcite da allettanti promesse, non sono manna ma traballanti invenzioni sotto il cielo di Gerusalemme. Una città contesa tra ebraismo, islam e cristianità, con i palestinesi che continuano a pensare di giocare la carta demografica e gli israeliani che premono per la penetrazione fisica. Antipodi di una bussola ormai smarrita.

Ad oggi non c’è nell’aria, o sul tavolo, una soluzione per liberare la Gerusalemme terrena dalla violenza, la fine del conflitto israelopalestinese è rimandata ad altri leader, ad un mondo diverso e più consapevole dell’importanza primaria del bene comune e della necessità del rifiuto del terrorismo. Ci vorranno generazioni e politici di ben altro livello, gli orologi di israeliani e palestinesi scandiscono ore diverse. Da una parte l’insofferenza alimenta il fondamentalismo, dall’altra le paure coltivano il nazionalismo.

Trump ha provato a vendere un fantasioso sogno a cui non crede più nessuno, primi fra tutti i suoi diretti interlocutori. Avrebbe voluto una trattativa in discesa, convinto che il suo appeal sarebbe stato sufficiente per dissipare le difficoltà nel siglare “l’accordo definitivo”. Alla fine si è accontentato di prospettare una fragile tregua, tutta da costruire. Ha perso un’occasione, ha fatto un buco nell’acqua. Nel complesso comunque il viaggio di Trump è stato denso ed è trascorso senza affanni, i patemi d’animo li hanno invece avuti i suoi più stretti collaboratori, che hanno marcato stretto il loro presidente per evitare qualche stravaganza fuori luogo. Anche nelle stanze del Palazzo Apostolico il rituale del protocollo è stato seguito rigidamente. Trump ha mostrato un atteggiamento rispettoso, reverenziale nei confronti di Francesco. Dopo le passate aperte tensioni, per la prima volta, si sono guardati negli occhi. Il Santo Padre dal cuore ispanico e il presidente yankee, il teologo dell’accoglienza e il predicatore populista. Un convinto ambientalista e uno scettico ecologista.

Per quanto sappiamo, non ci sono indiscrezioni ma un succinto comunicato della sala stampa che conferma buone relazioni bilaterali, papa Bergoglio e Trump hanno avuto uno scambio di vedute da orizzonti diversi, Santa Marta e la Casa Bianca non si sono avvicinate ma nemmeno allontanate. Sembrerebbe un miracolo, ma attendiamo il prossimo tweet presidenziale per confermarlo.

Metti un giorno Francesco e Kirill a Cuba

L’argine che ha separato per secoli i fiumi del cattolicesimo d’Oriente e d’Occidente è crollato. La chiesa di Roma e quella di Mosca si avviano a ricomporre uno scisma millenario, dopo due anni di trattative nascoste, nelle ultime settimane l’accelerazione e la svolta con l’annuncio dell’incontro tra Francesco e Kirill. Cuba il luogo preposto ad accogliere questo passaggio della storia, nessuna sede diplomatica o palazzo di potere ad ospitare l’evento, semplicemente, in perfetto stile Bergoglio, un luogo comune, un aeroporto, quello dell’Avana. Cuba isola ponte come la definì il Papa nel suo recente viaggio, tra nord e sud, est e ovest del mondo, terreno neutro. Cuba anche per Kirill è un luogo neutrale, è parte del nuovo mondo, lontano dalle critiche dell’ortodossia oltranzista che non vede di buon occhio questo incontro. Il colloquio in forma privata durerà due ore, parleranno in spagnolo e russo, affrontando la problematica situazione della persecuzione dei cristiani in Medioriente. Alla fine una dichiarazione congiunta e lo scambio dei doni alla presenza del presidente cubano Raoul Castro. Uno stato comunista e un leader rivoluzionario offrono “asilo” alla religione e alle sue controversie. Basterebbe questo a spiegare che il mondo è cambiato molto e rapidamente. “Sono felicissimo” il commento stringato ma naturale e preciso di Papa Francesco alla notizia. La rottura tra Oriente ed Occidente aveva alla base una discussione puramente teologica sulla natura dello Spirito Santo mentre, la riconciliazione ha una ragione ben più pragmatica: la sicurezza dei cristiani in Medioriente, in particolare modo in Siria. “Auspico, che con generosa solidarietà, si presti l’aiuto necessario per assicurare loro sopravvivenza e dignità …. Solo una soluzione politica del conflitto sarà capace di garantire un futuro di riconciliazione e di pace a quel caro e martoriato Paese” ha avuto modo di dire più volte il Santo Padre. I cristiani arabi sono una minoranza dal futuro oramai troppo incerto, vittime della violenza del terrorismo e della guerra. Il fondamentalismo islamico mette a serio rischio la tradizionale presenza cristiana nella regione. Il faccia a faccia tra il Patriarca e il Papa è un passaggio della storia delle religioni lungamente atteso e ricercato, segue le orme dell’incontro tra Paolo VI ed il Patriarca di Costantinopoli Atenagora a Gerusalemme 51 anni fa, di fatto l’inizio di un nuovo percorso nei rapporti tra cattolici e ortodossi. Fino al 1 Dicembre 1989 quando Gobarciov incontrando Papa Giovanni Paolo II in Vaticano aprì alla libertà religiosa in URSS mentre l’impero sovietico si sgretolava. Queste due tappe cruciali della storia ci permettono di capire quanto lungo è stato il percorso che conduceva a questo evento. Nell’anno giubilare della Misericordia non a caso Francesco sceglie il dialogo e la riconciliazione tra le fedi. Tuttavia, è difficile pensare che l’abbraccio fraterno tra Francesco e Kirill non abbia ricevuto l’imprimatur di Putin, nella speranza del premier di allentare l’attuale isolamento internazionale della Russia. Sulla vicenda Ucraina  Papa Francesco è stato un interlocutore di Putin e del Patriarcato di Mosca, senza svolgere un ruolo di parte, ha mediato restando in disparte, cosa molto apprezzata. Infine apertamente ha preso posizione nella vicenda siriana, contrastando l’intervento militare occidentale. La diplomazia vaticana voluta da Francesco è allo stesso tempo poliedrica e multipolare, attenta a non privilegiare taluni contro gli altri e  questo rappresenta la dimensione profetica del papato di Francesco. Per il Patriarca di Mosca i nuovi rapporti con Roma avvengono alla vigilia del sinodo Panortodosso, che avrebbe dovuto tenersi a Istanbul ma che l’escalation di tensione tra Mosca e Ankara hanno “diplomaticamente” spostato a Creta. Dove le chiese nazionali ortodosse, le cosiddette chiese autocefale, con quella di Costantinopoli guidata da Bartolomeo cercheranno una nuova, non sempre semplice, mediazione ad un conflitto tutt’ora esistente. Invece, al suo interno la chiesa ortodossa post sovietica affronta le stesse sfide di Francesco: recuperare la fiducia dei fedeli, aprendo la chiesa al nuovo millennio. Anche con l’utilizzo dello strumento mediatico. Per questo durante l’incontro, quasi sicuramente, le due massime autorità religiose mostreranno amicizia e serenità, evitando di affrontare un argomento delicato come la questione delle chiese ucraine devote a Roma. In fondo quello di Cuba è solo “uno scalo tecnico” del lungo viaggio di Bergoglio.