IL MEDIORIENTE E IL VIRUS

Politica, religione e il coronavirus in Medioriente. A Gerusalemme al Santo Sepolcro è permesso l’ingresso solo ai “custodi” rappresentanti delle diverse dottrine cristiane, che “mantengono” lo status quo del luogo. Saltata la tradizionale processione della domenica della palme sul Monte degli Ulivi e rinviata la messa crismale, a Pasqua le porte della Basilica,che secondo la tradizione ha ospitato le spoglie di Cristo, resteranno chiuse. Intanto, il premier israeliano Benjamin Netanyahu, è di nuovo in quarantena.
La decisione del primo ministro in carica è stata presa dopo che il ministro della Sanità, il rabbino ortodosso ed uomo di punta del partito Yahadut Ha Tora Yaakov Litzman, è risultatopositivo al virus. Israele conta 42 morti e si sfiorano 7.600 casi. I dati del ministero della Sanità parlano di 115 pazienti in condizioni gravi e di 427 israeliani guariti dopo aver contratto la Covid19. Ma i numeri continuano inesorabilmente a salire. L’isolamento del leader della destra cade proprio nel momento di frenetiche consultazione per formare un governo di unità nazionale in l’ex rivale Benny Gantz. E l’introduzione di misure di contenimento più stringenti (incluso l’impiego dei servizi segreti nel tracciamento dei contagiati) trova l’opposizione, anche violenta, della comunità degli ebrei ortodossi, restii a rinunciare alle proprie abitudini.
Nelle città e nei quartieri degli haredim, Covid19 cresce tre volte di più rispetto al resto di Israele. Intanto è stata sigillata dai militari Bnei Brak. In questa città con 200mila abitanti, poco distante da Tel Aviv, la cui stragrande maggioranza dei residenti osserva rispettosamente le leggi talmudiche, è stato riscontrato il più diffuso contagio: il 38% dei cittadini testati è risultato positivo a Covid19. Mentre, a pochi chilometri di distanza, nella Striscia di Gaza,la dittatura di Hamas impone di posticipare i matrimoni. E l’Autorità Nazionale palestinese, che governa in Cisgiordania, ha imposto la chiusura dei territori: Betlemme, culla della Natività, è sigillata da giorni.
In Medioriente il primo focolaio è esploso ai margini della regione, in Iran. L’epicentro del contagio è stata la città santa sciita di Qom, cuore della rivoluzione dell’Ayatollah Khomeyni. Probabile che il virus sia stato veicolato da addetti alla costruzione della moderna rete ferroviaria ad alta velocità, oppure tramesso da un pellegrino: il santuario di Fatimah al-Masumah attira fedeli musulmani da tutto il mondo, inclusa la Cina. Teheran ha ufficialmente confermato i primi decessi da coronavirus il 19 febbraio scorso. Una settimana dopo casi erano segnalati in 24 delle 31 province. L’onda del contagio si era estesa anche fuori dal territorio nazionale. Similmente anche in Bahrein, Oman, Kuwait, Qatar e Arabia Saudita gli infetti avevano trascorso un periodo in Iran.
Attualmente, in Giordania è esploso il caso delle mascherine non a norma. Mentre, in Iraq il personale medico protesta per la mancanza di medicinali e ventilatori. E in Libano, dove il primo paziente positivo è stata una donna appena rientrata da Qom, sono i camionisti a criticare il governo. Il Kuwait ha “richiamato” 17mila insegnanti egiziani che hanno lavorato nel Paese, in passato. L’Arabia Saudita ha posto in quarantena l’area di Qatif, dove gli sciiti sono la maggioranza. E il ministero della Sanità ha invitato coloro che si erano recati in Iran a dichiararlo alle autorità. Pur avendo violato la legge che vieta di visitare l’Iran, decine di persone hanno risposto fornendo le generalità, e di fatto autodenunciandosi.