NETANYAHU E’ PRIMO

Israele e la vittoria di Netanyahu, passata dai 10.631 seggi elettorali sparsi in tutto il Paese. Alle 22 di sera, le 21 in Italia, si sono chiuse le urne per il rinnovo del parlamento. In uno stato che è dovuto tornare a votare, dopo che ad aprile e settembre del 2019 non è riuscito a trovare una maggioranza chiara, quasi “italianizzatosi” alla retorica del ritorno al voto spasmodico. Tre elezioni consecutive e l’ennesimo responso: c’è un problema nel definire la maggioranza nella Knesset. E ovviamente stabilire un governo, trovare un leader, dare stabilità. I sondaggi della vigilia avevano previsto un testa a testa, con un leggero vantaggio del Likud di Netanyahu sullo sfidante Gantz e il partito “Blu e Bianco”, i colori della nazione. Stando agli exit poll è il longevo primo ministro ad imporsi e la coalizione che l’appoggia ad un passo dalla maggioranza assoluta. Alta l’affluenza. Per una campagna dai toni moderati, rispetto alle due precedenti. Lo stesso presidente Rivlin non ha mancato di lanciare qualche stoccata alla politica: “Questo è normalmente un giorno di festa, ma la verità è che non ho voglia di festeggiare. Meritiamo un governo che lavori per noi”. Ed ha lanciato un forte appello contro l’astensionismo. “Vi chiedo: andate a votare. Ogni voto è quello giusto. Ogni voto è la vostra voce. Andate e fatela sentire”. Un appello forte che è stato raccolto e che ha fatto registrare una partecipazione al voto come non si vedeva dal 2015. Il popolo d’Israele si è recato alle urne per dare una svolta, evitare un altro risultato ambiguo e il prolungamento dello stallo politico.

L’allungo finale della corsa dell’attuale premier e signore assoluto della destra israeliana è arrivato dopo aver corteggiato assiduamente la comunità etiope, quella favorevole a legalizzare le droghe leggere, il movimento dei coloni e persino la categoria dei tassisti. Il messaggio propagandistico conclusivo era stato dedicato all’elettorato religioso. Una ricerca di consensi in un’area che rappresenta una novità per Netanyahu, politico laico e di estrazione liberale. In fondo su quel lato è sempre stato ben coperto da potenti alleati, i due partiti religiosi ortodossi. Quello di tradizione sefardita, lo Shas, e quello di “famiglia” ashkenazita, lo Yahadut HaTorah. Ma il falco di Gerusalemme aveva la necessità di ottenere un voto in più dell’avversario, e quando deve cannibalizzare voti è un razziatore feroce: che non mostra pietà per nessuno, nemmeno per gli amici. Ha polarizzato nuovamente l’opinione pubblica, e ha saputo imporsi anche in questa battaglia. Distogliendo l’attenzione dagli scandali giudiziari che lo riguardano. Parziale successo per l’unione delle forze arabe. Risultato deludente invece per il centrosinistra sionista unito e allargato, sommando i seggi il totale nel precedente parlamento erano 11 seggi. Ora in blocco si fermano a 6, segno di un’inarrestabile declino. I nazionalisti di Yisrael Beytenu guidati da Avigdor Liberman restano l’ago della bilancia.