IL PATTO DI SAN PIETROBURGO

Nel cuore di Istanbul abbiamo assistito poche settimane fa alla notte in cui i cittadini si rivelarono eroi ordinari e sventarono il golpe. In quelle stesse ore Erdogan ebbe il sostegno convinto da parte della Russia di Putin. Oggi, dopo l’incontro di San Pietroburgo, un nuovo asse geopolitico taglia l’Europa dall’Asia. Nella notte buia della congiura, sventolando la bandiera della democrazia, gran parte del popolo scelse di opporsi al colpo di stato militare. Un segno divino per il religioso Recep Tayyip Erdogan. Nel momento più critico della sua carriera l’uomo di Istanbul, al potere da 13 anni consecutivi, si è appellato al popolo che ha salvato, letteralmente, la testa del suo sultano. Ma la storia non si è fermata agli eventi drammatici del 15 luglio. Dopo è iniziata la cronaca dell’accanimento, oltre 70mila persone, sono state arrestate o sospese per aver preso parte direttamente alla cospirazione o per presunti legami con il movimento di Fethullah Gulen, il predicatore rifugiato in America che avrebbe tramato contro Ankara ma che nega ogni coinvolgimento. La confraternita della facoltosa guida religiosa è “infiltrata” in vari settori chiave della società turca, tanto da essere stata la spinta propulsiva del successo di Erdogan per poi esserne ripudiata, e finire preda di una caccia senza quartiere. Che ruolo Gulen abbia realmente avuto nell’organizzazione del golpe è materia per tribunali e servizi segreti. Intanto il sultano, non potendo aspettare che le passioni della piazza vengano affievolite dal tempo, ha già emesso il verdetto per i traditori. In modo plateale e subdolo in queste ore dal pulpito ha chiesto al suo popolo d’introdurre la pena di morte e la folla, meccanicamente e fragorosamente, ha invocato il castigo capitale per chi ha tramato contro il palazzo. I valorosi difensori della democrazia in meno di un mese hanno cambiato d’abito, riponendo il vestito da supereroi e infilandosi la maschera della scimmia giacobina di gramsciana memoria: “non hanno il senso dell’universalità della legge, perciò sono scimmie”. L’Unione europea, gli USA e molte organizzazioni umanitarie tra cui Amnesty International hanno biasimato la possibile deriva di Ankara. E la corte del sultano non ha gradito reagendo in modo equivoco e lanciando un ultimatum a Obama. Bisanzio ha smesso di ascoltare Roma, Parigi, Berlino, Vienna e ha puntato l’orecchio a Mosca. Lo zar e il sultano scambiandosi una calorosa stretta di mano, con freddo raziocinio hanno cancellato violenti dissapori e dichiarazioni al vetriolo per dare vita ad una alleanza di tutta convenienza per entrambi: l’esportazione turca verso la Russia era crollata del 60%, lo spazio aereo turco interdetto ai russi. L’eterna guerra per il Caucaso e il Mar Nero ha raggiunto un compromesso. Passata la paura iniziale Erdogan è stato abile a capitalizzare e sfruttare la volontà popolare per rafforzare il suo dominio politico, e imprimere con una purga di stato un assetto autocratico e nazionalista al paese. Sciolinando invettive retoriche e producendo una propaganda massiccia ed efficace nel demonizzare gli avversari. Aprendo un vuoto nel sistema democratico, rivendicando la legittimità ad andare avanti nella repressione, rimuovendo gli ostacoli anche con l’utilizzo della forza. Il pericolo principale è che, al momento, il sultano è troppo sicuro di sé per accettare il rafforzamento democratico del parlamento. “Per distruggere un avversario sacrificherebbero tutte le garanzie di difesa di tutti i cittadini, le loro stesse garanzie di difesa”. Così scriveva Antonio Gramsci sull’Avanti il 22 ottobre del 1917.