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“Muove nella giusta direzione” il premier incaricato Fajez Al Serraj, il giudizio del Ministro degli Esteri Paolo Gentiloni bene descrive l’evolversi della situazione politica in Libia. L’indirizzo diplomatico della Farnesina, tra speranza e apprensione, è altrettanto chiaro: pieno sostegno al governo di riconciliazione sia “sul piano politico, umanitario che economico”. È un segnale d’imprimatur al “coraggio” del leader libico, sostenuto dall’ONU per riordinare il paese, che è riuscito nelle passate settimane a insediarsi e mettere insieme una maggioranza di parlamentari all’interno del Congresso. Aprendo un percorso politico che prevede lo scioglimento del Consiglio di Stato e poi, in una seconda e più complessa fase, la riunificazione con l’amministrazione di Tobruk per poter smantellare le milizie, attivare il processo elettorale e infine cacciare l’Is. Incrociando le dita la soluzione al disastro libico potrebbe aver imboccato la strada giusta. Chi sosteneva che Al Serraj avrebbe fallito prima ancora di cominciare a tessere la sua tela deve per ora aspettare e magari domani ricredersi di tanto scetticismo. Riconciliazione, stabilità e lotta al terrorismo sono le sfide di Al Serraj. La lezione che abbiamo ereditato dalla Libia è che con l’intervento militare della NATO abbiamo favorito lo scoppio di una guerra civile che ha aperto la strada al fondamentalismo islamico e destabilizzato la regione, dal Mali al Burkina Faso. I trafficanti di armi hanno svuotato e poi messo sul mercato gran parte dell’arsenale del Colonnello Gheddafi, arricchendosi. Purtroppo la qualità della vita della stragrande maggioranza della popolazione libica è peggiorata notevolmente a causa della drastica riduzione della produzione petrolifera. Oggi in molti centri, di quello che era considerato il paese con il più elevato tenore di vita tra le realtà africane, scarseggiano elettricità, generi alimentari e medicinali. «In risposta alla grave situazione umanitaria in corso in Libia ed accogliendo la richiesta di aiuto» il Ministero degli Esteri e della Cooperazione Internazionale ha disposto un finanziamento multilaterale di emergenza di 1 Milione di € a favore del Programma Alimentare Mondiale. Intanto i C130 dell’areonautica volano in Libia con a bordo medicinali e tonnellate di cibo. Passi importanti che rischiano di essere vanificati se la rotta dei migranti per e verso l’Italia dovesse riprendere con maggiore intensità, una minaccia pronta a trasformarsi in un’arma politica contro Al Serraj: “la Libia è il futuro ground zero -epicentro- dei migranti che cercheranno di raggiungere l’Europa”. È l’analisi, poco ottimista, dell’ex comandante della NATO, l’ammiraglio statunitense James Stavridis. Dalla primavera del 2015 la marina militare italiana è alla guida della missione di pattugliamento nelle acque al largo della Libia EUNAVFOR MED, in codice operazione Sophia: oltre 11 mila salvataggi, 58 scafisti arrestati. Avvicinare la flotta internazionale in prossimità delle coste potrebbe diventare a breve una necessità umanitaria. La tratta dei migranti è un business per le organizzazioni criminali, e una fonte di sostegno alle casse dell’Is, la cifra è stimata intorno ai 300 milioni di dollari l’anno, proventi della tassazione imposta agli scafisti del Golfo della Sirte. In Libia il traffico di esseri umani rende più del petrolio. Ma il secondo è il piatto più appetitoso per le multinazionali, a partire dall’italiana Eni. Nella corsa agli idrocarburi libici e con un certo senso di colpa per aver provocato un caos totale Londra si è detta disponibile a fornire aiuti militari al neo governo. Per il presidente della commissione esteri di Westminster, Crispin Blunt, tale iniziativa dovrebbe svolgersi senza un dispiegamento di forze sul campo, “che sarebbe percepito come una invasione”, ma con l’invio di mille “formatori” militari al fianco di personale italiano e francese. L’importante è non ripetere l’irripetibile.